MERCATO

Netflix e Amazon, le due “bestie nere” dell’industria dei media

Mercato americano in agitazione dopo l’annuncio dei mega deal At&t-Time Warner e Disney-21st Century Fox. Per i player minori l’alternativa è mangiare o essere mangiati. E per tutti il vero nemico da battere è lo streaming

Pubblicato il 08 Feb 2018

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L’uscita di Rupert Murdoch dal business dell’intrattenimento (il patron di News Corp. ha deciso a fine 2017 di vendere la maggioranza delle attività di 21st Century Fox a Disney) è suonata come una sveglia per l’industria dei media e dell’intrattenimento americana: i colossi tradizionali diventano sempre più grandi – non solo Disney, ma anche At&t-Time Warner, se la fusione proposta avrà il via libera del regolatore – e i player dello streaming sempre più forti – aziende come Netflix, Apple, Google e Amazon, con quote crescenti nel business dell’intrattenimento. I gruppi più piccoli cominciano a temere che da soli non ce la possono fare: non a caso Cbs e Viacom hanno deciso di esplorare l’idea di una reunion, dopo essersi separate nel 2006.

“Il messaggio che Disney e Fox stanno mandando al mercato è chiaro: le dimensioni contano”, ha dichiarato Lowell McAdam, Ceo di Verizon, in una telefonata con gli analisti. Ma non è solo questione di dimensioni, osserva il Financial Times in un commento, bensì di nuovi paradigmi tecnologici: l’ascesa del video streaming ha rivoluzionato il business dell’intrattenimento e messo in discussione il futuro della stessa Tv.

Gli spettatori cambiano abitudini, chiedono piattaforme e modalità di accesso diverse – in mobilità, senza vincoli di palinsesto, con interazioni social. Per questo molti gruppi tradizionali dei media si sono dati da fare per comprare fornitori di contenuti, ma aziende come Cbs e Viacom (operatore broadcast la prima, cable operator la seconda, unite dal 2000 al 2006) restano maggiormente esposte ai cambiamenti, col rischio di vedere calare inesorabilmente utenti e entrate. Già a fine 2016 la famiglia Redstone, che possiede le quote di controllo di entrambe le aziende, invitava a valutare la fusione per reagire in modo più efficace alle evoluzioni sul mercato dei media e dell’intrattenimento, ma l’operazione non andò in porto a causa, dicono fonti vicine all’azienda, dell’opposizione del Ceo di Cbs, Les Moonves.

L’attività M&A è però la chiave, per molti gruppi tradizionali, per rispondere ai cambiamenti: At&t, che ha dato il via a un’aggressiva espansione nei media comprando l’operatore satellitare DirecTV nel 2014, ha proposto nel 2016 l’acquisizione di Time Warner, un mega-deal da 85 miliardi di dollari che ancora non ha l’ok del regolatore. Tra i player più piccoli, Discovery Communications ha acquisito Scripps Networks Interactive, mentre la casa di produzione cinematografica Lionsgate ha comprato il canale via cavo Starz.

Per Viacom e Cbs potrebbe essere l’ora di tornare a unire le forze, ma gli analisti di Ubs consigliano di osservare prima l’esito dell’operazione At&t-Time Warner e dell’acquisizione di Disney-Fox e i possibili impatti sulle manovre di mercato: un no a At&t, per esempio, potrebbe permettere a Verizon di farsi avanti su Time Warner o anche su Charter Communications, il secondo maggior operatore del cavo negli Stati Uniti, per sottrarre share alla numero uno del cavo Comcast e alla stessa At&t. Tuttavia, per quanto spendano e si ingrandiscano, i gruppi tradizionali dei media non possono far finta di non vedere il cosiddetto elephant in the room: il vero nemico da battere sono i rivali dello streaming, che catturano audience, pubblicità e guadagni.

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