VIDEO ON DEMAND

Netflix, costretti a fare i furbetti per guardarla

Italia esclusa dai Paesi appetibili per il gigante del video on demand. Blocchi sui diritti e scarsità di banda larga le barriere maggiori. Ma i trucchi per poter accedere ugualmente alla piattaforma sono vox populi…

Pubblicato il 04 Ago 2014

Guido Scorza

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Cinquanta milioni di utenti in tutto il mondo tra Stati Uniti, Canada, Messico, Sud America, Gran Bretagna, Irlanda, Olanda, Svezia, Norvegia, Danimarca e Finlandia e, a settembre, tra una manciata di settimane, arriverà anche in Germania, Francia, Austria e Svizzera, giusto al di là dei nostri confini.

Oltre 50 mila titoli tra film, serie Tv e documentari, tutto a soli 8 euro al mese.

Stiamo parlando di Netflix il colosso americano della TV on demand che sta rivoluzionando le dinamiche di fruizione dei contenuti audiovisivi, travolgendo ogni palinsesto e finestra temporale. Tutto è disponibile subito e ovunque e ci sono, persino, programmi prodotti su misura per essere diffusi online.

Gli italiani, però, dovranno accontentarsi di sentirne rimbalzare l’eco online dai “cugini” francesi, tedeschi, svizzeri o austriaci che presto potranno sprofondare sui loro divani e godersi lo spettacolo o dai naviganti del resto del mondo.

Sembra, infatti, che Netflix non arriverà nel nostro Paese prima del 2015.

L’attesa – rapportata ai tempi della Rete – è, dunque, ancora lunga.

Questioni legate ai diritti d’autore, alla penuria di banda larga che affligge il nostro Paese e, probabilmente, anche al sostanziale “monolinguismo” di casa nostra, frenano la big company a stelle e strisce dall’attraversare i nostri confini.

Ma, ieri, la Repubblica, in un articolo di Ernesto Assante, ha raccontato di come, tutto sommato, anche gli italiani – purché capiscano l’inglese, il francese, lo spagnolo o il portoghese perché per il momento non ci sono programmi in italiano – possono abbonarsi a Netflix, utilizzando qualche piccolo trucchetto, ovvero “raccontando” ai gestori della piattaforma di collegarsi da un Paese nel quale il servizio è già attivo.

A quel punto le porte della più grande TV di tutti i tempi si schiudono anche al pubblico italiano, a condizione, naturalmente, di pagare il prezzo.

Naturalmente quello che, racconta il quotidiano dedicandogli due belle pagine dell’edizione della domenica, è un “barbatrucco” che impone di raccontare informazioni non veritiere al gestore della piattaforma.

Nulla per cui si rischi la galera ma, pur sempre, una condotta ai limiti dell’illecito – anche se solo contrattuale – o, a seconda i punti di vista – ai limiti del lecito.

In realtà l’idea non è nuova e, anzi, è già stata usata con successo da Karen Murphy, gestrice di un pub inglese che, qualche anno fa, per far vedere ai suoi clienti le partite del campionato di calcio, decise di abbonarsi anziché all’esosa Tv satellitare inglese, alla più economica tv satellitare greca, ovviamente dando a quest’ultima – per ottenere la relativa smart card – dei dati di residenza falsi, quelli di un indirizzo greco.

Ne seguì una lunga battaglia giudiziaria promossa dalla Tv Inglese e dalla lega calcio di Sua Maestà che, naturalmente, si ribellarono all’idea che le loro strategie commerciali potessero essere travolte dall’astuzia di Miss Murphy ma, alla fine, la Corte di giustizia dell’Unione Europea diede, sostanzialmente, ragione a quest’ultima, stabilendo che l’artificioso frazionamento del mercato unico europeo prodotto dalla Lega Calcio e difeso dalla Tv satellitare è contrario allo spirito ed ai principi dei trattati dell’Unione.

Se un utente italiano decidesse di approfittare dell’offerta inglese o francese di Netflix – seguendo le istruzioni disponibili ormai ovunque online – finirebbe, probabilmente, allo stesso modo.

Ma il punto non è questo.

Il punto è che è davvero frustrante ritrovarsi a dover fare i “furbetti” per accedere ad uno straordinario patrimonio culturale digitale, pagando il prezzo e senza nessuna voglia di fruirne a sbafo.

Guai a contestare le scelte commerciali di Netflix che sono, naturalmente, libere e rispettabili ma, forse, varrebbe la pena di interrogarsi sul perché chi sceglie, per mestiere, di distribuire contenuti audiovisivi in una dimensione globale, decida poi di lasciare in fondo alla lista proprio il nostro Paese.

Magari noi, le nostre regole, certe nostre politiche commerciali e talune istanze protezionistiche, così come la penuria di banda larga non hanno niente a che vedere con la scelta di Netflix ma magari, invece, si potrebbe fare di più per evitare di essere, così di frequente, digitalmente ghettizzati.

Anche perché avere Netflix non significherebbe solo rendere più pluralista il nostro panorama mediatico – il che già non sarebbe poco – ma anche moltiplicare le occasioni di lavoro per autori e produttori, giacché una piattaforma da 50mila titoli e 50 milioni di utenti, promette di essere affamata di contenuti.

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