«La Rai va chiusa», «la Rai va riformata», «la Rai va privatizzata». Slogan in libertà, prodotti dalla profonda crisi del servizio pubblico. Tanti in buona fede pensano che la colpa sia della stessa Rai e francamente sembra difficile dargli torto. Altri invece ci provano, spinti dal desiderio di favorire ancora di più i principali concorrenti terrestri e satellitari.
Si possono fare diverse considerazioni sulla necessità o meno della presenza di un servizio pubblico, ovviamente ammodernato e liberato dal giogo politico che l’ha rovinato. Il dibattito è aperto e molti interessanti spunti di riflessione sono stati definiti. A cominciare dalle ipotesi di riforma maturate grazie al contributo di esperti ed associazioni di cittadini. Tema comunque complesso che dovrebbe essere affrontato con grande trasparenza e partecipazione e non a botta di decreti legge o pronunciamenti di forza contrapposti.
Un fatto sembra certo: per il servizio pubblico si pone ormai la necessità di una riflessione non solo sulla sua articolazione, ma soprattutto sul rapporto tra la sua missione e lo sviluppo delle diverse piattaforme tecnologiche, in particolare quelle fondate sull’utilizzo di internet. Il mondo convergente delle multipiattaforme rende forse non più necessaria l’esistenza di un servizio pubblico? Quei connotati di pluralismo e rappresentatività, posti da sempre a sua giustificazione anche giuridica, sono superati dall’infinita serie di opportunità informative fornite dalla Rete? A questa domanda si deve rispondere non sulla base di ciò che fin ora è stato. La sopravvivenza del concetto di servizio pubblico, come bisogno primario della collettività all’interno del sistema della comunicazione, ha infatti una possibilità di successo solo se lo stesso sarà declinato su tutte le reti, internet in primis, e sarà adeguato al mutato scenario. Avere tante possibilità di informazione e di contenuti non significa che venga meno l’interesse, anche costituzionale, a che vi sia un faro di sicure coordinate a cui potersi rivolgere durante la navigazione. Ad esempio, più che mai in Rete si pone il problema dell’accesso e dell’affidabilità delle notizie che può essere in parte risolto dalla scelta di chi opera in Rete o dalla reputazione di chi immette quel determinato contenuto.
Resta pur sempre una grande incertezza. Come colmarla? Nel sistema c’è chi, come il servizio pubblico, ha l’obbligo per statuto di produrre informazione garantita quanto a verifica delle fonti, qualità, indipendenza e gratuità. Tutto questo come evoluzione e non sostituzione del vecchio concetto del pluralismo interno. Sul piano costituzionale, all’effetto sul servizio pubblico dell’articolo 21 deve dunque aggiungersi la garanzia di livelli minimi di servizio prevista dall’articolo 117 della Costituzione. Ci potrebbero essere infatti tanti soggetti che svolgono un ruolo proficuo sul piano del pluralismo informativo o dell’offerta di contenuti, ma non saremo mai sicuri che tale condizione, in assenza di un servizio pubblico nazionale, sia presente in tutte le complesse articolazioni territoriali e sociali del nostro paese. Problema che risulta con evidenza nell’accesso ai contenuti. Viviamo sempre più processi comunicativi nei quali i prodotti di pregio sono a pagamento. Ora le tecnologie già presentano un problema di inclusività sociale, o perchè sono costose o perchè sono difficili da usare oppure perchè materialmente non raggiungono tutti i cittadini. Se si aggiunge il loro costo si rischia in futuro di avere una parte della società che gode di una partecipazione informata e di contenuti di qualità e un’altra che deve accontentarsi di un’offerta più scadente, caratterizzata da un forte peso della pubblicità e della pratica di un sbrigativo trattamento dei dati personali. Insomma, sarebbe bene avviare un serio confronto, a meno di non pensare, malignamente, che tutto questo non serva perché ormai c’é un nuovo duopolio politico della Tv, senza Rai e con altri protagonisti.