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Rai, la grande guerra dietro le parole di Calenda

Puntano i riflettori sugli scontri in atto le dichiarazioni del ministro dello Sviluppo sul futuro della Tv pubblica. Ecco cosa succede dietro le quinte dell'”assalto” alla Legge di Stabilità. E dietro quelle di La7

Pubblicato il 28 Nov 2017

Patrizio Rossano

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A pensar male si fa peccato però ci si indovina quasi sempre. Frase storica solitamente attribuita a Giulio Andreotti ma forse di origini più antiche. In questo caso riguarda il ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda e le sue dichiarazioni sul futuro della Rai. Domenica sera, ospite della trasmissione di Giovanni Minoli su La7, ha espresso un pensiero sulle prospettive di Viale Mazzini molto chiaro: “È un sistema vecchio che non funziona più. Il mio pensiero personale è che la Rai va privatizzata e va dato il canone a chiunque fa progetti che hanno un valore di servizio pubblico”.

Difficile pensare che si tratti di “fuffa preelettorale” come si potrebbe immaginare. Il suo ruolo e il peso delle sue dichiarazioni difficilmente possono essere catalogate come “fuori dal sen fuggite” per due buoni motivi. Il primo riguarda il luogo in cui sono state fatte: l’emittente è di proprietà di Urbano Cairo che non ha fatto mistero di voler proporre la testata giornalistica di La7 come candidata supplente all’informazione pubblica e quindi, possibile destinataria di risorse da canone. “Si tratta di musica per quanti concorrono ad immaginare un futuro prossimo venturo dove la Rai potrebbe venire ridimensionata, in un modo o nell’altro” ci dice la nostra solita autorevole fonte di Viale Mazzini.

Siamo in piena fase preelettorale e questo rafforza ancor più il senso non casuale delle sue dichiarazioni: avere una buona sponda mediatica da parte del principale quotidiano nazionale, il Corriere della Sera, dove lo stesso Cairo è azionista, e che ha ripreso ampiamente l’intervista: non è cosa da poco. L’altro buon motivo che sostiene una lettura non casuale delle dichiarazioni di Calenda riguarda i tempi: come abbiamo scritto più volte, in questi giorni è in discussione la Legge finanziaria e, al suo interno, ci sono due articoli che impatteranno in modo strategico il futuro del Servizio pubblico: l’art. 89 e l’art. 97. Su questo secondo, in particolare, si concentra uno scontro dove da un lato ci sono forze di governo che sostengono il rafforzamento della Rai ed hanno proposto un emendamento sul canone vantaggioso per l’Azienda; d’altro lato qualcuno frena. A quanto sembra, dalle parti del sottosegretario Antonello Giacomelli si sostiene il primo fronte, mentre dalle parti del MEF si ritiene che questo emendamento possa configurare un impegno di spesa e si tiene il freno a mano tirato e l’emendamento risulta, al momento, in standby.

Lo stesso Giacomelli si è affrettato a dichiarare: “Calenda parla a titolo personale” ma è difficile non cogliere nelle sue parole un sottile filo di dissenso sostanziale con il suo collega di Governo. Abbiamo scritto che nell’orizzonte dei broadcaster, sia pubblico che privato, ci sono conflitti tecnologici ed economici epocali che lasceranno sul campo molte vittime. La Rai è la prima ad essere coinvolta. Il suo ruolo ed il peso che ricopre nel mercato è tale che, giocoforza, il suo ridimensionamento porta vantaggio ai diretti concorrenti.

Che poi il servizio pubblico radiotelevisivo debba o possa essere ricondotto ad una governance più efficiente, che debba o possa avere nei prossimi anni una direzione progettuale, sia dal punto di vista tecnologico che finanziario di altro segno, è un ragionamento diverso. Il ministro, in questo contesto, non sembra aver parlato a caso. “Il pubblico vuole il prodotto ed è poco interessato a chi lo fornisce” ha aggiunto nel corso dell’intervista.  Implicitamente, ha posto un altro tema interessante di riflessione: chi propone/gestisce i contenuti e chi detiene/controlla i contenitori.

Considerando l’attenzione con cui, doverosamente, Calenda segue il dossier Vivendi-Mediaset è lecito supporre che non si è trattato di una mera “opinione personale”.

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