Tv locali, De Laurentiis: “Crisi strutturale, serve riassetto”

Il presidente di Confindustria Radiotv sulla crisi del settore: “Oggi il mercato non riesce più a mantenere in vita oltre 500 tv locali, quindi bisogna incentivare la crescita dimensionale o l’accorpamento delle aziende per essere più competitivi”

Pubblicato il 25 Set 2015

Andrea Frollà

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La crisi del settore televisivo non accenna a fermarsi, con fatturati in diminuzione su cui incide sempre di più la discesa della raccolta pubblicitaria. A farne le spese tra tutti i player del settore ci sono sicuramente le televisioni locali, che tra il 2012 e il 2013 hanno perso circa due punti percentuali di quote mercato. Nel giorno della della presentazione del rapporto annuale sul comparto radiotelevisivo elaborato da Confindustria Radio Tv, il presidente dell’associazione Rodolfo De Laurentiis spiega a CorCom le criticità e le sfide del settore.

De Laurentiis, qual è lo stato reale della televisione italiana?

I dati relativi al settore parlano di una contrazione dei ricavi di 280 milioni tra il 2012 e il 2013. Sui 9 miliardi e mezzo di fatturato delle aziende televisive l’incidenza della raccolta pubblicitaria, pari a 3,5miliardi e mezzo di euro, è in aumento. E’ indubbiamente diminuita anche la redditività all’interno del settore, in parte dovuto all’andamento generale del mercato pubblicitario. La tv locale è sicuramente quella più in sofferenza, ma nel caso specifico ci sono però alcune indicazioni, che emergono dal rapporto, che potrebbero far ben sperare. Ad esempio la diminuzione della perdita di esercizio delle emittenti, anche se trainata dalle buone performance di alcune aziende, o ancora lo stato patrimoniale delle nostre televisioni, che ricorrono oggi per due quinti a mezzi propri per finanziarsi. Quindi credono ancora nella prospettiva di un mercato che ha un suo dinamismo interno.

E’ una crisi che non ha distinzioni geografiche?

Se prendiamo i ricavi delle aziende presenti in Veneto, Lombardia, Puglia ed Emilia Romagna arriviamo alla metà dei fatturati di tutto il tessuto italiano. Quindi il problema non è assolutamente di natura geografica, anche se la dinamicità di alcune regioni sicuramente aiuta.

Esiste un problema strutturale del settore?

La questione è tutta lì. In aziende strutturate, di dimensioni importanti, i fattori produttivi incidono in maniera minore sui bilanci. Basti pensare che le 24 società analizzate che raggiungono ricavi superiori a 2,6 milioni di euro sono un numero limitato (8%, ndr), ma realizzano quasi il 50% dei ricavi. Segno che è la struttura aziendale a permettere di reggere la fase di crisi e a migliorare la performance, specialmente in termini di raccolta pubblicitaria. La crisi non è più congiunturale, ma strutturale.

Come si pone rimedio ai problemi che ha citato?

Non possiamo più rinviare una riorganizzazione dell’intero settore che parta da un quadro normativo coerente con gli obiettivi che ci si vuole prefiggere. Oggi il mercato non riesce più a mantenere in vita oltre 500 tv locali, quindi bisogna incentivare la crescita dimensionale o l’accorpamento delle aziende così da essere più competitivi. Qualità del prodotto, innovazione e offerta devono essere i cardini su cui rilanciare le televisioni locali e non. Altrimenti si rischia di perdere il treno delle ripresa che stiamo intravedendo in Italia.

A metà ottobre in Italia arriverà Netflix. Come giudica le contromisure prese dalla nostre tv?

Questo arrivo è ormai considerato un evento biblico, ma in realtà rientra nei principi del mercato libero e concorrenziale e accrescerà l’offerta a favore dei consumatori. Le grandi imprese private e il servizio pubblico sono consapevoli del potenziale di Netflix e già si sono mosse in anticipo, puntando su innovazione di prodotto e servizio al cliente. E’ però fondamentale che tutti concorrano ad armi pari, cosa che oggi a livello normativo e regolamentare in Italia e in Europa non sempre avviene. Basti pensare ai giganti del web, che non si capisce bene quali vincoli di spese pubblicitarie o di tassazione abbiano. Il governo che prende in esame la possibilità di introdurre la digital tax indica significa che qualcuno ha capito che in alcuni settori esiste una disparità di trattamento.

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