PUNTO DI VISTA

Agenda digitale, Salvaggio: “Più formazione e un nuovo biz model per la PA”

Il fellow di Competere.EU: “Forme di comunicazione più snelle tra cittadini e PA e diffusione della cultura digitale sono gli ingredienti base”

Pubblicato il 29 Apr 2014

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Si fa un gran parlare da anni di agenda digitale, il tema è ormai entrato prepotentemente, e spesso demagogicamente, nell’agenda politica italiana ed europea, senza però produrre sostanziali innovazioni , strutturali e di pensiero creativo.

In Italia la penetrazione della banda larga è ancora estremamente rarefatta e disomogenea, spesso si rinuncia ad una linea adsl ma non all’acquisto dell’ultimo smartphone o tablet uscito sul mercato. Spesso la linea adsl o fibra ottica non arriva neanche, perché non c’è convenienza ad investire in un territorio poco “appetibile” commercialmente. Qualcuno direbbe “è il mercato che decide”, altri potrebbero obiettare affermando che “la crescita di un Paese passa anche attraverso gli investimenti in tecnologia e infrastrutture capaci di portare servizi e favorire lo sviluppo della creatività e dell’innovazione”. Culturalmente noi italiani siamo ancora troppo ancorati a modelli tradizionali, usiamo poco e con diffidenza il commercio elettronico, è più facile che in una famiglia ciascun componente abbia uno più cellulari ma non un pc con connessione veloce a disposizione, l’uso dei device è sempre più legato a servizi e applicazioni di intrattenimento e di relazione.

Queste caratteristiche, cui va sommata una geografia demografica che colloca l’Italia in una fascia prevalentemente matura, rallentano lo sviluppo di una cultura digitale che vede nelle infrastrutture e nella diffusione di processi tecnologici avanzati, il punto di partenza. Un’agenda digitale realmente innovativa deve saper migliorare le infrastrutture di rete e la loro omogenea penetrazione, deve agevolare gli investimenti e la partecipazioni di player stranieri, in contenuti sempre più rispondenti alle esigenze dei consumatori, deve soprattutto fare cultura digitale, coinvolgendo le nuove generazioni attraverso un lavoro all’interno delle scuole.

Secondo un recente rapporto Ocse, nelle scuole elementari italiane vi è un pc ogni quindici studenti, circa uno per classe o poco più. Non migliora la situazione per le scuole medie inferiori dove è disponibile un pc ogni undici studenti, uno ogni otto ragazzi alle scuole medie superiori. Otto scuole italiane su dieci sono connesse a internet ma solo metà delle classi, dato approssimato per eccesso, utilizza la rete come strumento didattico e di comunicazione multimediale, si pensi ad esempio alle lavagne digitali.

A queste carenze va aggiunta la mancanza di formazione del corpo docente verso le nuove tecnologie e i più recenti strumenti di comunicazione online, social network in primis.

Siamo un paese patria dell’informatica e della comunicazione, la storia della Olivetti e di Adriano ha contagiato tutto il mondo: quello che oggi serve è una visione capace di rigenerare una nuova coscienza digitale che consenta di vivere le tecnologie come un modello di instancabile innovazione, abbattendo le barriere della diffidenza e rendendo sempre più accessibile il nostro mercato ai grandi player stranieri.

Molto quindi deve essere fatto, a cominciare dalle Istituzioni, attraverso il potenziamento e l’adozione di modelli di comunicazione digitale in grado di snellire, agevolare e velocizzare le pratiche e le relazioni con i cittadini, pensiamo ad esempio all’apparato della Pubblica Amministrazione. I produttori di contenuti devono contribuire non solo a sperimentare nuovi modelli di business ma a educare i consumatori ad un uso sempre più interoperabile e legale dei contenuti, considerando le variabili costi, possesso, condivisione, da sempre argomenti sensibili nell’uso delle tecnologie.

E’ un errore pensare ad esempio che per essere innovativi basti semplicemente trasferire ciò che oggi è off-line all’interno di una piattaforma digitale. Sono due linguaggi differenti, due modalità di accesso diverse, due tecnologie troppo distanti tra loro. La vera innovazione passa dunque da una visione d’insieme che comprende certamente un potenziamento delle infrastrutture di rete e un uso molto più spinto e convinto dei linguaggi tecnologici, al fine di rendere procedure,burocrazia e relazioni sempre più “liquide” con vantaggi enormi dal punto di vista dei tempi e del risparmio. Al tempo stesso diventa fondamentale promuovere una cultura digitale che metta al centro i contenuti e la loro accessibilità da una parte e una formazione sempre più capillare che investa insegnanti, famiglie e nuove generazioni dall’altra.

La formazione è un punto centrale per l’esplosione della cultura digitale: ci deve essere sete di innovare, di creare, di anticipare prima che ne nasca l’esigenza. Per ottenere questo non basta usare i contenitori e contenuti digitali, occorre conoscerli, insegnarli, carpirne i vantaggi, gli eventuali rischi, i margini di miglioramento ma soprattutto non lasciarsi “condizionare”. Non considerare i social network come uno dei principali strumenti di comunicazione online è un errore, così come è altrettanto sbagliato considerarlo come unico modello oggi esistente per entrare in contatto con qualcuno o promuovere qualcosa. Per tale motivo è di assoluta importanza aiutare le persone a capire, in base alle proprie esigenze, quali linguaggi di comunicazione adottare e con quali strumenti ottenere i propri obiettivi.

Un’agenda digitale realmente competitiva deve rispondere prima di tutto a questo interrogativo. Così facendo sarà in grado di trainare l’Italia in un mercato ancora tutto da sviluppare e da conoscere.

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