Cec-Pac, Mazzeo: “La politica troppo distratta”

Il docente dell’Università Federico II di Napoli: “Non si è riusciti ad avere, anche per problemi di natura economica, una strategia chiara e un’azione costante verso i problemi della dematerializzazione”

Pubblicato il 03 Feb 2014

antonino-mazzeo-140130161549

«La Cec-Pac non ha funzionato perché non è mai stata di fatto resa obbligatoria e perché non si è mai concluso il contesto normativo legato all’attribuzione ai cittadini del domicilio digitale. Complessivamente il progetto sconta la mancanza di un piano organico di e-government».

Ne è convinto Antonino Mazzeo, docente del Dipartimento di Ingegneria Elettrica e delle Tecnologie dell’Informazione dell’Università Federico II di Napoli, uno dei maggiori esperti di e-gov e Pec.

Mazzeo cosa è accaduto con la posta certificata gratuita?

Il cittadino ancora non riesce a percepire chiaramente, a fronte dell’obbligo di dover consultare costantemente la propria casella di Cec-Pac, i vantaggi derivanti dall’uso di tale casella. Non sono, infatti, chiari i servizi utili che le PA già forniscono o che dovrebbero fornire. Un servizio che, di certo, funzionerebbe è quello della notifica delle cartelle delle tasse, ma non credo che la cosa entusiasmi tanto i destinatari, convincendoli a superare tutta la burocrazia legata all’acquisizione di una tale casella.

Perché si è scelto un servizio di posta “chiusa”, soltanto per i rapporti fra PA-cittadini, e non di utilizzare il già previsto servizio di Pec?

Il problema riguarda principalmente gli aspetti legati all’uso di standard di natura giuridica e di processi organizzativi che dipendono non solo dall’Italia, ma anche dalla Ue. Un servizio di posta certificata aperta, dato gratuitamente ai cittadini – con la funzione prevalente di elezione di domicilio digitale – anche se snatura in un certo senso il tradizionale servizio di Pec gestito dai privati, crea meno problemi di un servizio di Pec nazionale gratuito che, certamente, sarebbe un precedente che potrebbe fastidio a tutte le società private che gestiscono i servizi di posta. I colossi postali internazionali non vedono di buon occhio la diffusione di uno strumento a costo zero che andrebbe a erodere il business delle raccomandate.

Tutta colpa della politica, dunque?

Se di “colpa” politica si può parlare diciamo che, a fronte di una volontà più volte dichiarata a partire dal lontano 1997 (quando l’allora ministro Bassanini ha dato avvio all’azione di e-government, ndr), introducendo la firma digitale per semplificare e efficientare l’apparato burocratico dello stato, non si è riusciti ad avere, anche per problemi di natura economica, una strategia chiara e un’azione costante verso i problemi della dematerializzazione e di una sua concreta introduzione, nei processi endogeni ed esogeni delle amministrazioni. C’è da aggiungere il fatto che, al momento del varo della Cec-Pac, i Comuni, che sono le PA che più altre erogano servizi direttamente al cittadino, avevano già digitalizzato le prestazioni onorando quando previsto dal Cad del 2005. Il Codice dell’amministrazione digitale stabiliva che gli enti pubblicassero sui siti istituzionali i moduli pre-compilati per l’accesso ai servizi essenziali. E la PA, a sua volta, poteva obbligare i cittadini ad usare quel modulo, pena il respingimento della richiesta. C’è poi una questione relativa all’organizzazione della burocrazia.

Ovvero?

Al lancio della e-mail certificata non ha fatto seguito la necessaria trasformazione dei processi interni alle pubbliche amministrazioni. Mi spiego: la posta elettronica certificata non è mai stata inserita in un più ampio processo di trattamento documentale elettronico, con l’inclusione del servizio all’interno di un workflow che investisse tutti i processi amministrativi. Le PA, specialmente quelle locali, spesso si sono ritrovate ad usare strumenti che non sempre sono riuscite ad integrare pienamente nei loro processi organizzativi. Tale questione, ovviamente, va direttamente a impattare nell’interazione con il cittadino a cui, alla fine, arrivano pochi servizi, a singhiozzo e certamente poco efficienti. Insomma, se non per piccoli servizi isolati e non organici a una vera e propria stretegia di e-government, non si è ancora concretamente affermata la volontà di cambiare radicalmente il modo di lavorare delle amministrazioni pubbliche, obbligandole appunto a sviluppare nuovi servizi digitali.

Cosa non ha funzionato, invece, sul fronte dell’utenza che ha praticamente snobbato la Cec-Pac?

La Cec-Pac “facoltativa” non è riuscita a interessare i soggetti e le aziende private già maturi nell’uso delle nuove tecnologie informatiche e ciò in quanto tali soggetti già da tempo utilizzano, anche e principalmente ai fini dell’e-commerce, delle procedure ormai consolidate e maggiormente diffuse tra i cittadini, almeno tra quelli più “digitalizzati”, come appunto quelle dell’accesso online e dei pagamenti online a cui facevo prima riferimento. Per quei soggetti che soffrono di “analfabetismo informatico” – e sono tantissimi – il servizio non è per niente recepito. Ma il nodo più intricato, secondo me, riguarda la natura stessa della casella che ha anche valore di domicilio fiscale, e che rappresenta, quindi, un posto dove poter inviare multe, cartelle esattoriali. Agli italiani non piace non avere il controllo della propria corrispondenza, soprattutto quando si tocca il tasto dolente delle sanzioni. Con la Cec-Pac, infatti, una volta inviato il plico telematico e ricevuto il messaggio di ritorno, l’ente dà per notificato il documento a prescindere dall’apertura del messaggio di posta da parte del cittadino. Probabilmente, se l’elenco dei servizi utili fosse lungo e chiaro, le sue sorti sarebbero diverse e renderebbero accettabili anche certi aspetti percepiti come negativi per il proprio interesse.

A suo avviso il fallimento è da attribuire anche alla sicurezza delle informazioni che viaggiano sulla casella? Cioè gli italiani temevano per la loro privacy?

Non credo che questo aspetto sia stato determinante nel fallimento del progetto. Se uno strumento amministrativo funziona bene e si diffonde, l’utente tende a non farsi domande. E poi le regole tecniche si limitano esclusivamente a fornire la possibilità di scambiare documenti, contenuti in plichi informatici, con la garanzia della prova di sottomissione e ricezione, così come avviene per la raccomandata con ricevuta di ritorno tradizionale. Al momento del lancio della Cec-Pac, l’allora ministro Brunetta, si è limitato ad affiancare al servizio tradizionale di raccomandata A/R un analogo servizio digitale di “e-mail certificata”, regolando – per così dire – il mero servizio postale. E, analogamente a quanto avviene nelle comunicazioni postali tradizionali, anche la Pec e i servizi da essa derivati, deve garantire soltanto il trasporto del plico informatico da un mittente a un destinatario con certificazione di “chi” e “quando” ha inviato il plico e di “quando” e “chi” lo ha ricevuto, utilizzando due interfacce standard: la prima che regola lo scambio utenti-provider del servizio, la seconda tra provider e provider. Sulla sicurezza e sugli standard nulla quaestio, dunque.

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

Articoli correlati