L'INTERVISTA

Fondazione Italia digitale, Di Costanzo: “Pnrr chance imperdibile per investire sulla cultura”

“La pandemia ha cambiato il nostro modo di rapportarci con la PA, ora serve un un piano di sensibilizzazione che aiuti i cittadini a cambiare mentalità e smettere di pensare in analogico”. E secondo il presidente lo smart working “è una leva strategica”

Pubblicato il 28 Set 2021

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Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) è una straordinaria occasione per dare sprint alla digitalizzazione del Paese ma senza un piano diffuso di cultura digitale si rischia il flop. Francesco Di Costanzo, presidente di Fondazione Italia Digitale ha ben chiara in mente la strategia per non gettare alle ortiche la chance dei fondi europei.

Di Costanzo, come dopo ogni crisi economica, il digitale sembra essere la panacea per ogni male. Salvo poi dimenticarsene. È successo ad esempio con la crisi dei subprime del 2008. Oggi possiamo sperare che qualcosa sia cambiato?

Effettivamente dopo ogni crisi economica – e la pandemia ne ha provocata una senza precedenti – si fa appello al digitale come leva anti-ciclica. E dunque ogni amministrazione, ogni azienda si fa la sua piattaforma oppure il suo progettino da presentare. Tanto per dimostrare che, sì, qualcosa si è fatto. Ma ovviamente senza dare continuità strategica oppure senza inserirli in una visione di Paese. Oggi nel post-pandemia sono cambiate le condizioni di contesto, nel senso che cittadini e imprese hanno toccato da sé i vantaggi che la digitalizzazione può apportare nella vita di tutti i giorni, a scuola o sul lavoro. Durante il lockdown e anche nei mesi suiccessivi, grazie alla tecnologia, abbiamo potuto continuare a lavorare in modalità smart e ragazzi non hanno perso un giorno di lezione grazie alla Dad.

E allora?

Allora non possiamo fermarci adesso, dobbiamo proseguire sulla strada dell’innovazione. Anche perché sono quelle stesse persone che hanno saggiato i vantaggi del digitale a chiederci di mettere a disposizione servizi più efficienti e vicini alle loro esigenze. In Italia si è raggiunto un grado di “consapevolezza” digitale mai toccato prima: ora va messa a frutto, approfittiamone.

Il Pnrr dedica ampio spazio alla digitalizzazione del sistema Paese, puntando circa 50 miliardi. La convince la strategia messa a punto dal governo?

Non si può negare che gli obiettivi del Piano siano ambiziosi e necessari se vogliamo costruire un Paese moderno. L’auspicio è quello di utilizzare al meglio le risorse, ma temo che senza intervenire sul fronte culturale, la consapevolezza di cui dicevo prima andrà progressivamente disperdendosi e sarà difficile uscirne vincenti.

Cosa fare, in concreto?

Elaborare un grande piano nazionale di cultura digitale che vada a cambiare la mentalità delle persone, superando l’idea che basti dematerializzare un documento oppure mettere un servizio online per fare la “rivoluzione”.

Però, anche in questo caso, si parla da anni di come diffondere le competenze digitali…

Sì, ma in questo caso più che di mera diffusione di competenze – che pure serve – si tratta di cambiare modo di pensare. E per farlo bisogna iniziare a trasformare la PA. Perché un Paese innovativo è un Paese dove la PA è il principale driver di sviluppo e cambiamento.

Da dove si deve partire per innovare la PA?

Prima di tutto bisogna agevolare il ricambio generazionale  – negli uffici pubblici l’età media dei dipendenti è molto alta – poi inserire professionalità dedicate alla trasformazione nonché investire sulla formazione e l’aggiornamento continuo. Si tratta di azioni propedeutiche alla riorganizzazione dei processi che è l’obiettivo chiave di ogni piano di innovazione che ambisca a essere tale: bisogna arrivare a costruire una PA “ibrida” in grado di funzionare da remoto così come in presenza. E in questo contesto ovviamente lo smart working è uno strumento cruciale. A dirlo anche i numeri della ricerca che abbiamo presentato oggi: il lavoro agile viene sentito dai cittadini come un’opportunità per rendere l’organizzazione del lavoro più flessibile e moderna (73%) e come mezzo per favorire l’integrazione delle categorie più fragili (84%).

A proposito di nuove professionalità da inserire, sono ripartiti i concorsi….

Sì ma nella maggioranza dei casi le selezioni riguardano ruoli che andavano bene per una PA pensata per un mondo analogico. Non nego che servano ancora queste figure, ma si deve fare uno sforzo in più per attrarre talenti in grado di governare il cambiamento che i cittadini si aspettano.

Dal 1° ottobre Spid sarà obbligatorio per accedere ai servizi pubblici online. Lei che idea si è fatto: sarà utile?

Certamente l’obbligo aiuterà ad accelerare la trasformazione perché ci costringe a utilizzare uno strumento che altrimenti, in molti, non avremmo utilizzato. Sempre secondo i dati della Fondazione, il 55% dei cittadini ha attivato l’identità digitale. Ma è anche vero che l’obbligo da solo non basta: bisogna spiegare perché quello strumento è una chiave di volta di innovazione, perché ci migliorerà la vita e renderà più facile il nostro rapporto con l’amministrazione, che da controparte diventerà “partner”. E per farlo serve una grande operazione di tipo culturale, come sottolineavo prima.

Oggi presentate la Fondazione Italia Digitale. Che ruolo intendete giocare?

La Fondazione nasce per essere un punto di riferimento dei settori pubblico e privato per affrontare al meglio i cambiamenti che il digitale sta portando a livello sociale, culturale, politico, economico. È un progetto che nasce dall’esperienza dell’Associazione PA Social che in pochi anni è diventata il rappresentante autorevole degli operatori della comunicazione e informazione digitale. Un progetto unico nel panorama italiano dove ci sono realtà che si occupano “ anche” di digitale, noi ci occuperemo “solo” di digitale.

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