L'ANALISI

Sanità, Immuni testa d’ariete per la svolta digitale italiana?

La quantità di download della app resta ancora limitata rispetto al potenziale, ma le motivazioni sono tutt’altro che tecnologiche o legate alla privacy. La mancanza di una strategia coordinata sui tamponi ha impattato e non poco. Ma al di là della questione emergenziale è tempo di mettere a punto un piano nazionale di e-health

Pubblicato il 01 Ott 2020

Fulvio Ananasso

Presidente di Stati Generali dell’Innovazione e Consigliere Cdti

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Con l’app Immuni si è agito “bottom up”, in assenza (ancorché comprensibile vista l’emergenza) di un rigoroso processo di approfondimento “top down” di tutti gli aspetti del problema, facendola apparire come salvifica soluzione di contrasto alla pandemia. Il suo limitato utilizzo dipende anche dalla mancanza di un protocollo sanitario chiaro e condiviso che incontri la fiducia e la collaborazione delle persone.

In questo periodo di ritorno di contagi Covid-19 si assiste ad un rinnovato appello delle Autorità all’utilizzo dell’app Immuni per il contrasto alla pandemia, stigmatizzando la circostanza che sia stata scaricata (e scarsamente utilizzata) da circa 6,5 milioni di utenti (17% dei possessori di uno smartphone). Meno della metà della Germania, con i suoi quasi 20 milioni di download a fronte di 80 milioni di tedeschi. Ci si appella al senso civico della popolazione, affinché scarichi l’app, la utilizzi e condivida le informazioni della soluzione tecnologica, che solo se diffusa su almeno il 60% degli utenti dispiegherebbe tutta la sua efficacia e il suo potenziale di supporto al tracciamento dei contatti e isolamento dei focolai grazie al grafo dei flussi dei potenziali contagi.

A fronte dei risultati non incoraggianti dovuti anche alla citata scarsa diffusione (non distante peraltro dal resto del mondo a parte l’Australia), è utile sottolineare come siamo comunque di fronte ad un fenomeno da affrontare con procedure di contact tracing “umano”. Lungi dal considerarla una risorsa “salvifica” che risolverebbe tutti i problemi, la tecnologia dovrebbe essere utilizzata come decision support system (DSS) in accordo alle “3T” — tracciamento, test e terapia. Essa risulterebbe estremamente utile nel contrasto ad una pandemia che ha causato sinora un milione di vittime e danni al sistemo socio-economico secondi solo alla crisi del martedì nero del 29 ottobre 1929.

Come mai, allora, lo scarso “senso civico” degli italiani (che pure hanno dimostrato un notevole rispetto delle regole durante il lungo lockdown)? In molti riteniamo che, per il consenso e accettazione volontari di strumenti e contromisure di qualsiasi tipo (suggerite ma) non obbligatorie, non risulti prioritaria la (presunta) efficacia di una app, ma piuttosto l’esigenza di processi sanitari chiari, efficaci e condivisi, e conseguente fiducia nelle Istituzioni preposte.

Permangono ovviamente aspetti di criticità tecnico-operative (peraltro gradualmente risolvibili) dovute alla difficoltà delle soluzioni tecnologiche di contact tracing di evitare falsi positivi / negativi attraverso la stima dell’attenuazione del segnale bluetooth, dei pericoli di accesso non autorizzato ai nostri dati personali dal sistema Apple-Google – nella fase 2 i sistemi operativi degli smartphone non hanno più bisogno delle app -, degli inconvenienti tecnici di malfunzionamento segnalati dagli utenti e bug più o meno gravi, ecc.

Si è agito in condizioni di emergenza planetaria senza precedenti, e le istituzioni hanno dovuto affrontare una fase pandemica – tuttora in corso – che ricorderemo a lungo. Chiunque avrebbe avuto grossissimi problemi a barcamenarsi tra protezione delle condizioni di salute e dell’economia, tra spinte e conflicting requirements degli opposti portatori di interesse. Purtuttavia, dopo oltre un semestre di esperienza sul campo, si assiste da qualche tempo a disposizioni discutibili, indecisioni, mancanza di programmazione con sufficiente anticipo, ecc. Tutte “ingenuità” comprensibili sei (o anche tre) mesi fa, molto meno oggi, quando il tempo e l’esperienza avrebbero forse dovuto suggerirci una migliore pianificazione degli strumenti e procedure da porre in atto.

Senza voler assolutamente sottovalutare la complessità e difficoltà di organizzare e gestire la situazione, il consenso e accettazione volontari di strumenti e contromisure di qualsiasi tipo richiedono interventi e disposizioni coerenti delle Autorità, ben comunicati e non contraddittori, che facciano riferimento a processi sanitari chiari, efficaci e uniformi sul territorio nazionale, concordati tra tutti i vari attori — operatori sanitari, medicina territoriale di base, Istituzioni, servizi logistici. Ciò conferirebbe credibilità alle istituzioni preposte, convincendo la popolazione ad avere fiducia in esse, ascoltare e rispettare le relative disposizioni.

Tornando al maggior successo di utilizzo dell’app tedesca, non a caso la medicina territoriale è molto sviluppata in Germania, con i medici di base che gestiscono laboratori di analisi ed effettuano direttamente (anche a domicilio) tamponi e test a risposta online estremamente rapida. Quale procedura è prevista da noi in caso di alert dall’app Immuni su un possibile rischio di essere stati contagiati? Con le difficoltà di fare il test (tampone o altro affidabile), ci si dovrebbe auto-isolare in attesa di comunicazioni mediche – non di rado carenti se non imprecise o contraddittorie?

Non ci si può stupire se in tali condizioni la fiducia verso le Autorità non sia eccelsa e si dia limitato ascolto alla necessità di senso civico, specialmente in presenza della sensazione di “liberi tutti” (colpevolmente cavalcata da taluni settori politico-economici) che disorienta e tende a fare abbassare la guardia. E’ quantomeno comprensibile che, rispetto all’eventualità di non saper cosa fare in caso di potenziale contatto con soggetti positivi se non auto-isolarsi in attesa dell’incognito, si preferisca non saperlo nemmeno e affidarsi alle precauzioni preventive — igiene personale, distanziamento, DPI. In questi casi (alert Immuni) il tampone dovrebbe essere automatico, immediato e a risposta estremamente rapida, non soggetto ad interazioni con operatori sanitari o altro, con tutte le possibili indeterminazioni e/o aleatorietà del caso.

D’altro canto, il periodo pandemico che stiamo vivendo ha accelerato la consapevolezza della necessità di un cambio di paradigma nella trasformazione digitale dei servizi sanitari, con enfasi su tele-monitoraggio / medicina, medicina territoriale di base come 1° livello di assistenza e screening della popolazione, accessi agli Ospedali e visite di persona solo nei casi necessari, ecc.

Gli ingenti stanziamenti “Next Generation EU” rappresentano una enorme opportunità per la trasformazione digitale e sostenibile della Sanità, ponendo le basi per processi sanitari innovativi Ict-assisted che ne migliorino le prestazioni al contempo limitando i costi operativi, privilegiando investimenti sul capitale umano piuttosto che per operazioni sanitarie sub-ottime e in perenne emergenza. Con tale obiettivo, Stati Generali dell’Innovazione sta consolidando un team multi-stakeholder (esperti sanitari, tecnologi, informatici, giuristi, protezione dei dati, …) di approfondimento della questione, che analizzi i vari aspetti e produca raccomandazioni e suggerimenti sui processi sanitari e soluzioni tecnologiche da adottare per la “Sanità del Futuro”. Chiunque sia interessato può partecipare al gruppo di lavoro e contribuire agli obiettivi citati.

La tecnologia può risultare estremamente utile per la modernizzazione e trasformazione digitale della Sanità come “building block” di supporto alle decisioni umane (DSS), purché il dispiegamento di qualsiasi soluzione tecnologica derivi da un rigoroso processo di approfondimento (top down) di tutti gli aspetti del problema — sanitari, organizzativi, giuridici, socio-economici e soprattutto umani.

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