«Change management», esorta Francesco Caio nell’intervista che pubblichiamo in questo numero del giornale. Ci sembra un invito particolarmente azzeccato.
Veniamo da un’epoca in cui davanti ai cambiamenti e all’esigenza di raggiungere obiettivi di novità, l’atteggiamento comune (purtroppo molto diffuso) è stato una lunga sequela di “non si è mai fatto”, “non si può”, “sì, bella idea ma è troppo problematico realizzarla” e così via obiettando. In cerca delle scuse per il non fare. Rare volte la risposta è stata: “Ok, l’obiettivo è giusto, vediamo di capire come affrontare uno ad uno i mille problemi che ne ostacolano il raggiungimento”.
Si discute molto in queste settimane di ridimensionare gli stipendi della dirigenza pubblica. Sarebbe bene che si cominciasse a discutere anche di come premiare effettivamente (non il todos caballeros di oggi) le professionalità competenti e capaci che si rendono conto che oggi molta macchina pubblica è una palla al piede del Paese ed un ostacolo alla sua crescita. E offre ai cittadini un livello di servizi spesso imbarazzante, in particolare se visti con la lente di una rivoluzione digitale che corre molto in fretta.
La capacità di problem solving, di trovare soluzioni ai problemi dovrebbe essere riconosciuta come una qualità fondante di un manager pubblico “digitale”. Così come lo è nel privato.
Dobbiamo realizzare le tre priorità di Caio come strutture portanti dell’Agenda digitale: fattura elettronica, identità digitale, anagrafe unica. Ben consapevoli che è una partenza e che molto altro ci sarà da fare nel corso dei prossimi anni.
Non sarà una passeggiata come dimostrano problemi come la difficoltà di individuare gli indirizzi elettronici di tutte le amministrazioni pubbliche. Sono però sbagliati sia l’atteggiamento di chi si crogiola alla prospettiva di un fallimento (siamo bravissimi nei piagnistei e a volerci male) o polemizza che si poteva fare di più, sia di chi si arrende di fronte alle difficoltà e non si chiede come fare per risolvere i problemi sopravvenuti. Se ci mettiamo alle spalle questa duplice mentalità, forse l’Italia digitale può farcela.