Filippeschi: “Comuni protagonisti del New Deal digitale”

Il delegato Anci in cabina di regia: “Non solo committenti di soluzioni
e servizi. Gli enti locali devono creare le condizioni per attrarre investimenti privati”

Pubblicato il 20 Dic 2013

Federica Meta

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“Dobbiamo fare un salto radicale di mentalità: come amministratori locali dobbiamo rivoluzionare il nostro modo di vedere e aprire una vera battaglia politica. La riforma dello Stato, uno Stato oggi bloccato, inadatto ai cambiamenti, è tutt’una con la rivoluzione digitale delle amministrazioni e dell’organizzazione degli enti territoriali». È la convinzione di Marco Filippeschi, sindaco di Pisa e delegato Anci alla cabina di regia per l’Agenda digitale.
In questo quadro quale sarà il contributo che possono dare i Comuni?
Il ruolo degli enti locali è essenziale nel disegno dell’attuazione dell’Agenda digitale ed il contributo concreto che l’Anci porterà sarà quello dei tanti progetti di valore che in molte realtà si stanno realizzando. L’obiettivo è quello di individuare quali sono i fattori di successo, ma anche i limiti, riscontrati in queste esperienze e facilitare la diffusione e lo scambio delle soluzioni affinché vengano adottate in altri contesti.
Come si realizzerà questo contributo?
Vorrei rappresentare una nuova leva di “amministratori che pensano digitale”. Il mio compito sarà quello di esprimere le posizioni e le esigenze che emergeranno da un costante lavoro di confronto fra i Comuni che l’Anci promuove attraverso i suoi organismi di rappresentanza e che verrà rafforzato relativamente alle priorità di azione individuate. Coinvolgeremo la Commissione Innovazione, organismo di indirizzo partecipato da tutti i Comuni capoluogo di Provincia. Un contributo importante potrà arrivare dagli oltre 60 Comuni che attualmente aderiscono all’Osservatorio nazionale Smart City. Chiederemo un aggiornamento, da farsi su un target parziale ma significativo, del monitoraggio dell’organizzazione e delle dotazioni digitali dei comuni, secondo il modello usato per la verifica che sta conducendo la Fondazione Ugo Bordoni per Agid sulle infrastrutture.
Come si affronterà il nodo risorse alla luce della spending review e del patto di stabilità?
I Comuni sono consapevoli che la crisi economica generale impone scelte finanziarie restrittive ma è impensabile immaginare di attuare l’Agenda Digitale senza trovare le risorse economiche necessarie. La riorganizzazione della PA in chiave digitale porterà degli indubbi risparmi economici nel medio-lungo periodo, ma in questa fase è necessario guardare con obiettività alla diversificata situazione del territorio, accompagnando le priorità strategiche individuate con un programma di risorse economiche che ne garantisca l’effettiva realizzazione. Vanno facilitati e potenziati i meccanismi di attivazione di partenariati pubblico-privati, una delle strade principali per la realizzazione di interventi di innovazione nei territori. Inoltre serve affermare un’autonomia organizzativa, di gestione del personale e degli apporti esterni che consenta di portare nuove competenze. Serve una “corsia preferenziale” per la digitalizzazione.
Francesco Caio ha battezzato l’Agenda digitale slim: anagrafe unica, identità digitale e fatturazione. Come considera la scelta?
La focalizzazione su poche, ma strategiche priorità è positiva purché siano considerate, insieme al Piano Nazionale per la Banda Larga, come punto di partenza allo sviluppo e diffusione di servizi e soluzioni che incidano direttamente sulla qualità della vita dei cittadini e sulla creazione di un contesto favorevole al mondo produttivo. Questi obiettivi non sono né devono essere intesi in contraddizione con la necessità di fare grandi scelte d’investimento sulle infrastrutture, sui grandi data center. Solo dentro un’architettura nazionale solida si possono fare scelte e sperimentazioni incrementali, non effimere o diseconomiche.
Un tema centrale per l’Agenda è appunto il consolidamento dei data center.
I Comuni sono d’accordo sul piano di contenimento delle infrastrutture, ma è importante che, più che al mero snellimento quantitativo, si punti a una razionalizzazione che si inserisca nel più ampio percorso di riforma delle autonomie locali, che porterà nell’arco di un paio di anni la grande massa dei piccoli Comuni alla gestione associata dei servizi nelle Unioni di Comuni e, in alcuni casi, anche alla loro fusione. L’obiettivo, quindi, deve essere quello di realizzare delle strutture in grado di offrire agli enti una rosa di servizi qualificati che li coadiuvi nella gestione amministrativa. Nella fase di analisi sarà di conseguenza necessario prestare attenzione sia al dimensionamento dei data center sia alle esigenze locali in termini di continuità e affidabilità del servizio.
Come possono i Comuni sostenere le imprese innovative?
Dobbiamo pensare in maniera diffusa a un ruolo del Comune che non sia solo quello del committente di soluzioni e servizi, ma quello di attore territoriale che crea le condizioni affinché le imprese possano operare sul proprio territorio e investire su di esso. Si tratta di pensare in maniera strategicamente diversa, rispetto al passato, a come rendere le nostre città in grado di trattenere e attrarre le migliori energie del mondo produttivo e della ricerca. Il Comune è chiamato quindi a definire la visione della città futura, a comprendere, a dare supporto alle vocazioni economiche del territorio, a stabilire collaborazioni fruttuose con le Università, a coinvolgere il mondo del credito nel sostegno agli investimenti, a mettere a disposizione spazi – coworking e fabbriche creative – per lo sviluppo di start up.
Crede che in questi anni siano stati fatti errori sull’Agenda?
Le esperienze degli ultimi quindici anni non sempre sono state positive – bisogna ammetterlo – ma hanno reso chiari alcuni punti fermi che è bene tenere in considerazione. È inutile impostare piani nazionali senza definire quali sono i meccanismi – amministrativi, finanziari e tecnologici – attraverso i quali gli obiettivi di sistema possono essere raggiunti nei vari territori. Specie in questa fase di risorse limitate è ancor più necessario che ogni livello istituzionale ed ogni attore possa portare il proprio contributo in un’ottica di condivisione del disegno di un Paese digitale. La produzione normativa deve essere accompagnata da un presidio di Governo forte, senza il quale la strategicità dell’innovazione perde idi concretezza al momento dell’applicazione delle norme. Veniamo invece da anni di presidio centrale debole, che ancora in parte scontiamo se vediamo le difficoltà e i ritardi con i quali si sta avviando l’esperienza dell’Agenzia per l’Italia Digitale, ma che le recenti scelte del Governo ci lasciano sperare siano in fase di superamento. Inoltre, serve procedere a sburocratizzare i procedimenti e a delegificare. La rivoluzione digitale non può avvenire con ulteriori affastellamenti di norme e regolamenti.
L’Italia digitale è a macchia di leopardo. Come si può mettere a sistema l’innovazione?
Bisogna rafforzare le dinamiche di confronto e scambio fra PA locali per diffondere i modelli innovativi tecnologici e di governance. Questo è un tema molto caro ad Anci, che vede nelle reti di collaborazione uno strumento finalizzato ad aiutare i Comuni a migliorare concretamente la qualità della vita nei territori.

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