INCHIESTA ITALIA DIGITALE

Firma digitale, l’Italia rischia la pole

Siamo all’avanguardia in Europa ma il nuovo Regolamento Ue potrebbe sparigliare le carte

Pubblicato il 18 Set 2013

Alessandro Longo

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L’Italia è all’avanguardia in Europa per le firme elettroniche. Ma faremmo bene a non rallegrarcene troppo. È un primato che andrà valorizzato nei prossimi mesi. Il settore dovrà tenere il passo con le opportunità offerte dalla normativa, soprattutto perché nel 2014 arriverà il primo regolamento Ue per l’interoperabilità delle e-firme.
La svolta c’è stata il 22 maggio scorso, con la pubblicazione del (molto atteso) Dcpm 22 febbraio 2013 contenente le “regole tecniche per la generazione, apposizione e verifica della firma elettronica avanzata, qualificata e digitale, per la validazione temporale, nonché per lo svolgimento delle attività dei certificatori qualificati”.


“Le regole tecniche completano il quadro delle e-firme utilizzabili e soprattutto abilitano quella avanzata”, spiega Giusella Finocchiaro, avvocato e ordinario di diritto di Internet e diritto privato all’Università di Bologna. “Nell’ambito della firma avanzata, la più usabile è quella grafometrica, con pennino sul tablet”, aggiunge. In dettaglio, la firma grafometrica rientra nella tipologia di quella avanzata solo se risponde a certi requisiti di sicurezza descritti nel regolamento. “All’atto pratico, cittadini e aziende firmeranno su tablet in molti casi in cui prima erano costretti a farlo su carta o con smart card”. Prima della firma avanzata la normativa ammetteva solo la firma elettronica semplice, quella digitale e quella qualificata, “ma queste ultime due di fatto coincidono nella nostra normativa”. Non c’era dunque via di mezzo in Italia. Il professionista doveva ricorrere a quella digitale (qualificata), con smart card e token, per tutti quegli atti dove la firma semplice non era sufficiente nei rapporti con la PA. “Diversi studi confermano che questi strumenti sono considerati poco comodi da molti professionisti. Adesso potremo concludere un contratto in modo più agevole”. Un altro scenario è quando un cittadino deve firmare in ospedale per il consenso a ricevere le cure. “Non avendo gli strumenti necessari alla firma digitale è costretto a farlo su carta. Mi aspetto che gli ospedali si attrezzeranno, perché riducono i costi e aumentano l’efficienza”, continua Finocchiaro.


La firma digitale conserva alcuni vantaggi: è immediatamente autografa; quella avanzata invece può essere sempre sottoposta alla valutazione di un giudice, che verifichi la conformità agli standard. La firma digitale va usata inoltre quando è la PA che deve sottoscrivere un contratto con un soggetto esterno (per un contratto interno alla PA basta quella avanzata). La e-firma semplice va bene per comunicazioni interne alla PA o per le richieste di informazioni da cittadini e imprese. “Il prossimo passo è il regolamento europeo che scatterà nel 2014. Attiverà una normativa unica per l’uso delle firme digitali in Europa. Significa che si potranno siglare contratti con enti di altri Paesi Ue”, dice Finocchiaro. Adesso è una bozza proposta dalla Commissione Ue al Parlamento.

“Siamo stati i primi in Europa a dotarci di una normativa per le firme elettroniche, ma riusciremo a usarle tutte e bene?”, si interroga Ernesto Belisario, avvocato tra i massimi esperti di PA digitale. “Le nuove firme sono una sfida infatti per il mercato e le amministrazioni pubbliche. Dobbiamo sperare che gli operatori del settore realizzino soluzioni affidabili e facili da utilizzare. E che gli Enti le adottino senza indugi”, continua. Passaggio importante, “perché le firme elettroniche sono uno strumento fondamentale per l’abbandono definitivo della carta”, conclude Belisario.

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