REGIONI

In house Ict verso il consolidamento

Più che a tagli drastici il governo Renzi punta a razionalizzare le società Ict regionali eliminando le ridondanze in ottica di efficienza e di spending review. L’Umbria fa da apripista

Pubblicato il 14 Mag 2014

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C’è chi le considera strumento indispensabile per digitalizzare le PA, soprattutto quelle territoriali, e chi le accusa di “viziare” il mercato italiano dell’Ict mettendosi in concorrenza con i player privati di settore. In qualunque modo la si pensi non si può negare che le società in house continuano a far parlare di sé, anche a due anni di distanza dal tentativo (fallito) dell’allora governo Monti di eliminarle del tutto.
Il dibattito si è riacceso all’indomani del decreto-legge “sugli interventi finalizzati a maggior efficienza, razionalizzazione, equità e rilancio del Paese”, presentando il quale il premier Matteo Renzi ha ribadito la necessità di rivedere tutto il sistema delle aziende partecipate, comprese quelle dell’Ict. “L’intenzione del governo – spiegano dall’entourage di Renzi al Corriere delle Comunicazioni – non è quella di tagliare queste società che possono dare un contributo importante all’attuazione dell’Agenda digitale, data la loro profonda conoscenza dei meccanismi interni alla PA stessa. Si intende, spingere sull’aggregazione, laddove si rilevino aziende pubbliche che operano sullo stesso fronte rafforzando al contempo la loro funzione di project management”.

L’esempio potrebbe venire dall’ Umbria che – unica tra le Regioni – ha messo in atto una forte azione di consolidamento tagliando da sei a tre le società Ict: Umbria salute, Umbria digitale e Umbria pubblica amministrazione hanno sostituito Webred, Centralcom, HiWeb, Webred servizi, Sir e Umbria servizi innovativi. Come sottolinea l’assessore con delega a Innovazione ed Ict, Fabio Paparelli, si punta ad “ottenere maggiore efficienza e contenere i costi anche tramite la riduzione del 20% del management”. “Non si tratta soltanto di un cambio di facciata, ma di una vera rivoluzione anche per i servizi offerti da questi consorzi – evidenzia Paparelli -. È in corso un processo di formazione e riqualificazione per gli addetti che dovranno occuparsi anche della centrale unica acquisti’’.

Secondo Greta Nasi, docente associato presso Dipartimento di Analisi delle Politiche e Management Pubblico della Bocconi, il tema delle in house è certamente un tema sensibile che va affrontato guardando non tanto all’eliminazione di queste realtà quanto a una visione evolutiva del ruolo che queste imprese possono svolgere nella pubblica amministrazione.

“Le in house oggi operano come se fossero privati, che puntano a fare fatturato e aumentare il volume dei profitti – spiega Nasi -. Una modalità operativa che vizia in qualche modo il mercato ma che soprattutto impedisce una coerente evoluzione della PA che fa dell’IT l’asset dell’efficienza. Quello che è mancato finora a queste società è una mission definita che le renda capaci di tradurre gli obiettivi degli enti in progetti qualificati; in sostanza una funzione di project management. Solo cambiando il ruolo in questa direzione le società potranno creare valore aggiunto per le amministrazioni; un valore che non sempre è direttamente valutabile tramite il mero risparmio, ma che riguarda sempre più l’efficienza della macchina pubblica”.

Ed è proprio in questa direzione che si sta muovendo Assinter. All’interno dell’associazione si sta sempre più affermando una serie di tendenze che vanno dalla gestione dei servizi condivisi all’interno del sistema della pubblica amministrazione locale (con grandissimi risparmi e grandissime possibilità di recuperare efficienza ed efficacia) fino agli share services, ovvero i centri di servizi condivisi, nelle organizzazioni più grandi, in entrambi i casi con un massiccio ricordo all’outsourcing.
Il tutto in un quadro in cui le in house funzionano da “stazione appaltante intelligente” in grado di qualificare la domanda pubblica e sostenere la PA nel percorso di switch off.

E sulle funzioni delle in house interviene anche l’Agenzia per l’Italia digitale che sta lavorando a un grande piano di consolidamento, a livello regionale, degli oltre 4mila data center pubblici. “In ottica di aggregazione ragionale le società in house sono chiamate a giocare un ruolo chiave – spiega il direttore generale Agostino Ragosa -. Queste devono partecipare come erogatori e gestori dell’infrastruttura tecnologica pubblica, rafforzandosi con nuovi modelli di sviluppo, una migliore qualificazione della domanda e l’acquisizione di competenze”.

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