Il Consiglio di Stato dà il via libera, anche se con qualche riserva, alla riforma del Codice dell’amministrazione digitale, contenuta nello schema di decreto legislativo emanato in attuazione della delega contenuta nell’articolo 1 della legge 7 agosto 2015, n. 124 (cd. Legge Madia). L’ok arriva dopo il parere interlocutorio rilasciato a marzo scorso e dopo avere ricevuto dal governo i chiarimenti richiesti.
Secondo i giudici amministrativi il provvedimento ha obiettivi ambiziosi e necessita di interventi chiarificatori. Il parere evidenzia l’innovazione, ma anche la complessità di una riforma il cui obiettivo è quello di creare una vera e propria “carta della cittadinanza digitale”, per cittadini e imprese, rendendo effettivo il principio del “digital first” e il diritto di accesso in modalità informatica a dati e servizi.
La Commissione speciale riconosce che il governo ga recpito alcune delle osservazioni più importanti del parere interlocutorio, specie sul rafforzamento delle garanzie sulla provenienza dell’atto e sul dovere di “anonimizzazione” delle decisioni giudiziarie.
Allo stesso tempo avverte però la necessità di ulteriori interventi già evidenziato nel parere precedente ma non adeguatamente recepiti. In questo senso il Consiglio di Stato invita a precisare meglio le funzioni del domicilio digitale, il cui utilizzo – si legge nel parere – è limitato alle sole “persone fisiche e giuridiche”, escludendo così gli altri soggetti dell’ordinamento; ad individuare specifiche responsabilità e sanzioni finalizzate ad assicurare la custodia della documentazione; e a risolvere evidenti rischi di duplicazione tra il nuovo registro degli indirizzi delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di pubblici servizi ed il vecchio sistema utilizzato per le notificazioni e comunicazioni giudiziarie.
Per quanto riguarda la Poste elettronica certificata, il parare mette in guardia sull’obbligo per i provider di possedere un capitale sociale minimo di 5 milioni. L’art. 25 consente l’esercizio delle attività relative ai “prestatori di servizi fiduciari qualificati, gestori di posta elettronica certificati gestori dell’identità digitale e conservatori” soltanto le società di capitali con un elevato capitale sociale (5 milioni di euro), precludendo l’accesso al mercato a quelle che, pur affidabili, sono prive di tale requisito.
Secondo il Consiglio di Stato, ciò potrebbe porsi in contrasto con principi costituzionali ed europei, quali la libertà di concorrenza e quella di iniziativa economica.