INCHIESTA ITALIA DIGITALE

Open data “vittime” dei Ced

La frammentazione dei data center frena l’apertura delle info. Agid avvia un censimento in vista del consolidamento. Giuliano Noci (Polimi): “Il cloud leva per razionalizzare le infrastrutture, ma manca la banda larga”

Pubblicato il 16 Set 2013

Federica Meta

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Accountability e Open government. Sono questi gli obiettivi sottesi alla realizzazione dell’Agenda digitale che mira a rendere più efficiente e trasparente la Pubblica amministrazione italiana. Non è un caso dunque che l’Agenzia per l’Italia digitale, guidata da Agostino Ragosa, abbia deciso di dare un forte colpo di acceleratore alle strategie di valorizzazione delle informazioni conservate dalla PA, varando le “Linee guida nazionali per la valorizzazione del patrimonio informativo pubblico”.

“Il documento – spiegano al Corriere delle Comunicazioni da Agid – rappresenta un passo fondamentale per garantire la trasparenza dei processi amministrativi, per incentivare la partecipazione democratica dei cittadini alle scelte che li riguardano nonchè per attivare un più forte controllo sociale sulle politiche pubbliche”. Sulla scia dell’Open Data Charter, redatto in occasione dell’ultimo G8, le linee guida dell’Agenzia indirizzano gli enti verso un processo di produzione e rilascio dei dati pubblici standardizzato e interoperabile su scala nazionale. Il documento riassume, infatti, schemi operativi e organizzativi, standard tecnici e best practice di riferimento, riportando anche aspetti di costo e di licensing da prendere in considerazione al fine di implementare in maniera efficace una strategia di valorizzazione del patrimonio informativo pubblico per il sistema paese.

La metodologia inaugurata dal testo di Agid potrebbe dunque rappresentare la chiave di volta per gli open data italiani, al palo per la mancanza di una strategia nazionale che metta a sistema le esperienze degli enti locali che, più di quelli centrali, hanno investito in progetti ad hoc, senza però essere riusciti a vedere valorizzati i propri asset informativi. Colpa di un economia del territorio non messa nelle condizioni di operare in sinergia con la PA e quindi incapace di trarre profitto dai (pochi) dati resi fruibili.

Ma colpa, soprattutto dell’eccessiva frammentazione dei data center pubblici, ridondanti e non interoperabili tra i vari livelli istituzionali. Nella pubblica amministrazione centrale italiana, ad esempio, esistono oltre un migliaio di data center di diverse dimensioni distribuiti su tutto il territorio, che ospitano oltre ventimila server, per un costo annuo complessivo per la sola gestione di circa 450 milioni di euro.

Si tratta di infrastrutture spesso duplicate nelle funzioni e prive di una visione organica attraverso la quale attuare sinergie basate sulla standardizzazione, l’interoperabilità e l’evoluzione tecnologica del comparto pubblico. L’Agenzia per l’Italia digitale ha avviato, in collaborazione con la Fondazione Ugo Bordoni (Fub), un censimento dei server, primo passo verso un consolidamento che il dg Agostino Ragosa immagina avvenire a livello regionale. E di consolidamento parla anche il decreto del Fare che all’articolo 16 regola la razionalizzazione dei cosiddetti Ced in un ottica di cloud computing.

Secondo Giuliano Noci, docente del Politecnico di Milano e direttore dell’Osservatorio eGovernment del Polimi, la drastica riduzione Centri di elaborazione dati (Ced) appare essere un obiettivo ormai non procrastinabile che potrebbe produrre enormi benefici. Non solo economici. “L’affermazione di un’architettura cloud – spiega Noci – indurrebbe, infatti, un processo di standardizzazione dei servizi offerti all’utenza, contribuendo in modo determinante all’ottenimento di risultati che con la logica del riuso non si è ancora riusciti ad ottenere”.

Ma il diavolo si annida nei dettagli. E il processo di razionalizzazione non sarà così facile da attuare.“Il decreto del Fare – evidenzia l’esperto – prevede, da un lato, un cronoprogramma che suona come il libro dei sogni (censimento dei Ced entro il 30 settembre e piano di razionalizzazione entro fine anno ndr), ma soprattutto non tiene conto di due componenti fondamentali, che agiranno come deterrenti molto significativi al raggiungimento dell’obiettivo”.
Manca, nei fatti, nel nostro Paese un sistema di banda larga, ovvero dell’infrastruttura primaria abilitante l’affermazione di quella logica cloud, che permette di scaricare a terra larga parte dei benefici conseguenti ad un percorso di razionalizzazione dei Ced. A preoccupare anche la possibile reistenza dei “burocrati”. “In Italia il controllo dell’informazione è spesso sinonimo di potere del singolo ente – sottolinea Noci – Mi aspetto, pertanto, enormi resistenze da parte dei dirigenti della Pubblica amministrazione all’innovazione”.

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