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Pec al palo, imprese “frenate” dalla PA

Crescono le e-mail business, ma l’uso non decolla. Colpa degli enti che non attivano i servizi. Assocertificatori: nessun cambio di marcia finché le prestazioni pubbliche non saranno online. Cna e Confocommercio al fianco delle Pmi per sensibilizzarle

Pubblicato il 28 Nov 2011

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Sarà il 2012 il banco di prova per la Pec, la Posta elettronica certificata. Dalla fine di novembre (il 29 per l’esattezza) le aziende sono obbligate a dotarsi di una casella certificata il cui indirizzo va comunicato al Registro Imprese.

Si tratta del terzo campo di applicazione del progetto voluto dall’ex ministro della PA e Innovazione, Renato Brunetta, insieme a quelli della Pec gratuita destinata ai cittadini e quella obbligatoria per i professionisti, primi fra tutti gli avvocati che – secondo quanto stabilito dall’ultima legge di Stabilità – saranno obbligati a comunicare via web nell’ambito del processo civile telematico.

Quello delle imprese rappresenta, dunque, un tassello fondamentale del maxi progetto che l’ex ministro Brunetta ha lasciato in eredità al nuovo governo guidato da Mario Monti.

Ma le imprese sono pronte ad affrontare la sfida? Stando a quanto riferisce Assocertificatori, l’associazione che raggruppa i fornitori di caselle certificate, pur essendo in aumento il numero di società che rispetta l’obbligo (a fine novembre il tasso di adozione era di oltre il 20%, in crescita esponenziale però negli ultimi giorni del mese) restano ancora poche quelle che utilizzano la comunicazione digitale.

“Sul piano generale la causa del basso livello di utilizzo replica quello di Post@ Certificata (la casella realizzata da Poste Italiane e Telecom Italia assegnata gratuitamente ai cittadini che ne facciano richiesta ndr) – spiega Paolo Cascino, direttore generale di Assocertificatori. – Si tratta di uno strumento con cui, diciamolo pure, non ci si può fare nulla. E quando dico questo mi riferisco al fatto che la Pec si limita a funzionare come raccomandata A/R, ma non come veicolo di servizi a valore aggiunto per utenti privati e business”.

La “colpa” sarebbe dell’amministrazione che, sia a livello centrale sia periferico, si è dotata di una e-mail certificata senza però trasferire la comunicazione e l’erogazione dei servizi dallo sportello alla Rete.

“Quale sarebbe – si chiede Cascino – il vantaggio per le imprese? Nessuno. E non a caso finora sono rimaste alquanto indifferenti nei confronti della Pec”. E questa “indifferenza” i fornitori la riscontrano anche nella lentezza con cui le aziende si stanno adeguando all’obbligo e nel tipo di servizio scelto.

“Nella maggioranza dei casi – spiega Cascino – si tratta di Pec standard, senza prestazioni aggiuntive, che servono a dimostrare al legislatore che le norme sono state rispettate. Poi però quelle caselle non vengono usate né in uscita, verso la PA, né in entrata, dalla PA, che si affida ancora alla raccomandata”.

Nonostante questa malcelata indifferenza, però, qualcosa nel mondo imprenditoriale – almeno a livello di associazioni – si sta muovendo. Ne sono un esempio le iniziative messe in campo dalla Confederazione nazionale artigiani (Cna) che lavora fianco a fianco delle società, specie quelle di dimensioni ridotte, e da Confcommercio che sta portando avanti iniziative simili per i propri associati.

“Molte snc (società in nome collettivo) del commercio e dell’artigianato – spiega Massimo Vallone, responsabile del settore amministrazione digitale di Confcommercio – sono piccole aziende a conduzione familiare, con una struttura semplice, e poco digitalizzate. Stiamo cercando di sensibilizzarle sul fatto che la Pec rappresenterà un risparmio per l’imprenditore e per la PA perché verranno eliminate milioni di raccomandate cartacee. Va in questa direzione anche il protocollo di intesa siglato dall’Inail con le principali associazioni e confederazioni imprenditoriali”.

Iniziative che porteranno benefici in termini di diffusione del digitale, ma che secondo Antonino Mazzeo, docente e responsabile del Dipartimento di Informatica e Sistemistica dell’Università Federico II di Napoli, nonché uno dei maggiori esperti di Pec, non basteranno. “Resto convinto che serva una riorganizzazione del back office pubblico – sottolinea Mazzeo -. La verità è che le PA si sono ritrovate ad avere uno strumento che non riescono ad inserire nell’attuale organizzazione del lavoro. E tale situazione, ovviamente, va direttamente ad impattare nelle comunicazioni con l’impresa a cui arrivano servizi a singhiozzo e poco efficienti”.

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