L'INTERVISTA

Ragosa: “Agenda digitale, ecco il piano operativo”

Il direttore di Agid svela al Corriere delle Comunicazioni il programma di attuazione messo in cantiere con Francesco Caio: “Alla PA serve una enterprise public infrastructure: avanti tutta su Spc e consolidamento dei data center”

Pubblicato il 16 Set 2013

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Un piano operativo per spingere l’Agenda digitale che l’Agenzia sta realizzando insieme a Francesco Caio. Il direttore dell’Agenzia per l’Italia digitale, Agostino Ragosa, annuncia al Corriere delle Comunicazioni, le azioni strategiche che saranno messe in campo nei prossimi mesi.
La collaborazione con mister Agenda digitale è iniziata, dunque?
Con Francesco Caio abbiamo iniziato a lavorare fin da subito, con l’obiettivo di realizzare un grande piano operativo che dia finalmente attuazione all’Agenda.
Caio, in accordo con i ministeri di riferimento, ha già stabilito le priorità: anagrafe unica, fatturazione elettronica e identità digitale. Il programma operativo verterà su questi progetti?
Questi sono certamente progetti chiave per l’ammodernamento della PA. Ma il piano a cui stiamo lavorando va oltre singoli progetti e va a toccare il “cuore” dell’infrastruttura informatica pubblica che, ad oggi, non è in grado di sostenere la rivoluzione digitale. Il nostro obiettivo è la realizzazione di una “enterprise public infrastructure” nella quale il Sistema pubblico di connettività (Spc) sia interconnesso con le reti territoriali realizzate dagli enti locali e dove i luoghi che ospitano i sistemi pubblici – i data center – siano rispettosi degli standard internazionali. Il tutto all’insegna della sicurezza delle informazioni e dei dati, parte essenziale del sistema dei servizi pubblici da erogare.
A proposito di data center, la Fondazione Ugo Bordoni sta effettuando un censimento. Una volta raccolti i dati come avete intenzione di muovervi?
Attualmente nella pubblica amministrazione, centrale e locale, esistono migliaia di Ced che costano molto e nella maggior parte dei casi sono inefficienti, isolati e non sicuri. L’obiettivo è quello di ridurre le strutture di data center a 30/40 unità: intendiamo creare centri dati altamente interoperabili a livello fisico e logico consolidando le infrastrutture sia a livello regionale che centrale. Le proposte sull’efficientamento dei data center verranno presentate a breve.
E il focus sulle infrastrutture è propedeutico agli open data.
Esattamente. Una volta consolidate le infrastrutture (rete di connettività, data center e sistemi di sicurezza) sarà più facile aprire i sistemi informativi pubblici e trasformali in servizi utili a cittadini e imprese. E una volta che apriamo i sistemi informativi pubblici, il tema della qualità dei dati diventa fondamentale: la PA deve mettere a disposizione dati secondo regole standard – stiamo già dando alla Pubblica amministrazione in linee guida e raccomandazioni pubblicate – e di elevata qualità. E poi bisogna aprirli ai privati in modalità “machine-readable”. Il patrimonio informativo pubblico è una grande ricchezza ed è l’occasione per le imprese private del settore per sviluppare nuovi servizi. Questa è un’area di crescita del Pil e di nuova occupazione. Abbiamo bisogno di esperti dati. Gli americani parlano di diversi punti di aumento del loro Pil e della creazione di circa 1 milione di posti di lavoro. Ci dobbiamo credere e lavorare insieme alle imprese del settore in Italia per sviluppare un sistema di servizi ricco e semplice da usare da parte sia dei cittadini che delle imprese.
In questo contesto quale sarà il ruolo degli altri livelli di governo, Regioni e Comuni in primis?
Giocheranno un ruolo fondamentale. Come Agenzia per l’Italia digitale stiamo collaborando con le pubbliche amministrazioni centrali e locali all’elaborazione di un piano nazionale per l’informatica con l’obiettivo di efficientare l’attuale sistema e riqualificare la spesa pubblica. Oggi la spesa pubblica – dicono diversi osservatori – tra costi diretti ed indiretti, oscilla tra gli 8 e i 10 mld di euro e i risultati non sono assolutamente all’altezza delle aspettative. Le Regioni, nello specifico, dovranno predisporre piani regionali che, messi a sistema – cioè integrati con quelli della pubblica amministrazione centrale – diventeranno il perno e il cuore del piano nazionale. Sarà poi necessario creare un catalogo dei servizi digitali di semplice lettura e facile accesso. È vero che c’è un problema culturale per cui gli italiani utilizzano poco i servizi di e-gov, ma è anche vero che la complessità attuale dell’infrastruttura rende complessa l’erogazione degli stessi.
Caio ha annunciato che l’ anagrafe unica, la fatturazione elettronica e l’identità digitale saranno le priorità dell’Agenda. Lei è d’accordo?
Certamente. Si tratta di progetti abilitanti la PA digitale. L’anagrafe nazionale centralizzerà le circa 8100 anagrafi oggi gestite da altrettanti Comuni – anagrafi perlopiù non interoperabili – in una piattaforma unica realizzata da Sogei e commissionata dal ministero dell’Interno. I Comuni resteranno proprietari dei dati ma i sistemi e i servizi saranno gestiti in modalità integrata.
L’anagrafe unica farà da leva per l’identità digitale?
Certamente sì. Se c’è un “mondo” di servizi digitali anche il cittadino dovrà essere dotato di una identità digitale. L’identità digitale dovrà rispondere a precisi standard internazionali: in questo senso Agid sta collaborando con gli organismi tecnici della Commissione europea all’elaborazione di criteri condivisi e standardizzati.
Avanti tutta anche sulla fatturazione elettronica…
Vorrei ampliare il discorso ai pagamenti elettronici da e verso la PA. Insieme a Bankitalia e gli operatori stiamo lavorando alla realizzazione di un sistema unico di pagamento il cui “back end” è, appunto, la piattaforma stessa e il “front end” sono tutti gli sportelli che il cittadino utilizza per effettuare i pagamenti: sportelli postali, bancari e di tutti gli enti incassatori. Il sistema è attualmente in fase di test presso il ministero della Giustizia.
Prima ha fatto cenno al fatto che agli italiani manca una cultura digitale. Vi muoverete anche nell’ambito della competenze IT?
È evidente dalle analisi fatte e dai dati comunitari. Stiamo lavorando a un piano nazionale per la cultura digitale che coinvolge scuola, cittadini e imprese con l’obiettivo non solo di educare all’utilizzo dei servizi digitali, ma anche di sviluppare competenze ad hoc per il mondo del lavoro. L’Unione europea ha stimato che nei prossimi anni mancheranno all’appello 1 milione di occupati nei settori legati all’IT. Si tratta di un’occasione unica per rilanciare l’occupazione in Europa in settori a forte valenza anti-ciclica. L’Italia deve essere pronta a raccogliere la sfida.
L’ultima domanda è la più spinosa. Ci sono le risorse per fare tutto quello che ha elencato?
Il problema non sono tanto le risorse quanto il modo di spenderle. La maggior parte dei soldi arriverà da Horizon 2020: si tratta di 30 miliardi che l’Unione europea destinerà all’Italia. Insieme alle Regioni, al ministero per la Coesione Territoriale e al Mise stiamo studiando una pianificazione “anti-spreco”. L’Italia non può permettersi di ripetere l’errore fatto con il Piano per la Società dell’Informazione 2007-2013: in quel caso la Ue ci aveva destinato circa 58 miliardi, dei quali ne sono stati spesi solo 18. Questo non deve più accadere. Puntiamo poi a fare leva sul pre-commercial procurement e a partnership pubblico-privato per trovare le risorse per fare innovazione e coinvolgere le imprese sul territorio. Non possiamo sbagliare né nel pianificare né nel progettare e realizzare le infrastrutture ed i servizi di cui il paese ha assoluto bisogno.

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