Si fa presto a dire che i bambini sono il futuro, o che siamo entrati nell’era dei nativi digitali. Il problema, specialmente nel nostro paese, non è senz’altro la quantità di tecnologia a disposizione dei più piccoli, ma il modo in cui sono guidati nell’adoperarla, proprio là dove dovrebbero imparare.
Secondo le proiezioni Eurispes Italia 2013, vengono devoluti a bambino solo 5 euro per la scuola digitale: in altre parole occorreranno circa 15 anni per raggiungere il servizio offerto agli studenti inglesi, che seguono le lezioni in classi per l’80% abilitate all’uso di strumenti informatici per la didattica. Nel 2013 sono state diffuse nelle scuole tricolori circa 70mila lavagne interattive in 1.200 classi, quando la domanda risultava in realtà dieci volte superiore. Ma se non sorprende sapere che lo Stato non riesce a intervenire per attuare gli obiettivi dell’Agenda digitale sul piano dell’educazione e della formazione, sia per la mancanza cronica di fondi da investire nel sistema scolastico sia per l’assenza di un reale piano sistemico per l’adozione delle nuove tecnologie, lascia piuttosto perplessi il fatto che nemmeno la maggior parte dei protagonisti dei settori Ict si dia troppo da fare per coltivare i propri clienti di domani.
Eppure le potenzialità di un mercato in continua crescita ci sono tutte: l’età in cui un soggetto ha i primi contatti con un device tecnologico continua ad abbassarsi, i touch screen degli smartphone di mamma e papà sono sempre più spesso il giocattolo perfetto per le dita di bambini che a stento sanno parlare, ma che sul display comprendono e comunicano ogni cosa intuitivamente. Uno degli studi più recenti a livello mondiale, realizzato da Gartner nel 2012, stabilisce che il mercato delle tecnologie per gli under 14 vale circa 20 miliardi di dollari. E stima anche che negli Usa ogni famiglia acquisti annualmente 28 app a uso esclusivo dei più piccoli.
Focalizzandoci sull’Italia, la fotografia dell’Istat scattata nel 2012 dice che il 40,7% dei bambini dai 6 ai 10 anni frequenta il Web, e secondo una ricerca presentata lo scorso autunno dall’Osservatorio mobile Internet, Content & Apps del Politecnico di Milano, il 15% delle applicazioni più redditizie del 2013 erano dedicate all’infanzia, per lo più giochi (che, considerato anche l’entertainment per i più grandi, costituiscono il 60% in valore del giro d’affari tricolore generato dalle applicazioni per mobile), ma anche software educativi, come quelli della linea Montessori.
A proposito di Montessori, si è tenuto lo scorso 14 febbraio a Roma il convegno “Montessoriani e nativi digitali: quali sfide per il metodo”, durante il quale si è discusso dell’opportunità di inserire i nuovi strumenti digitali all’interno della didattica degli asili nido. La prima sperimentazione avverrà nella struttura all’interno del ministero degli Esteri, dove gli educatori utilizzeranno delle app per l’apprendimento dell’inglese e della musica. Una scelta, va detto, che non ha trovato unanime apprezzamento né nel corpo docente, né tra i genitori.
E non è di certo l’unico caso in cui l’introduzione delle nuove tecnologie a scuola, laddove questo è risultato possibile, non viene accolta entusiasticamente: all’inizio di febbraio i genitori degli alunni della scuola Iqbal Masih di Roma si sono opposti all’istituzione di una classe 2.0, all’interno della quale i tablet avrebbero preso il posto dei libri e la Lim (lavagna interattiva multimediale) il posto della classica lavagna. Pare evidente che, per lo meno in Italia, la diffusione dei nuovi sistemi d’apprendimento non è frenata solo dalla mancanza delle risorse, ma anche da un retaggio culturale che in molti casi si oppone allo sfruttamento della tecnologia nei percorsi formativi dei bambini.
Un peccato se si considera anche la crescente importanza che queste applicazioni ricoprono nella nostra vita quotidiana e nell’economia reale. Prima della rivoluzione digitale, non ha mai fatto scalpore incoraggiare i figli che dicevano “da grande voglio fare l’ingegnere” regalando loro il Meccano. Se si considera che secondo Gartner solo il mercato delle app mobile varrà nel 2017 circa 77 miliardi di dollari a livello globale, forse conviene incoraggiare pure i piccoli incuriositi dai touch screen. Qualcuno per fortuna lo sta facendo: lo scorso ottobre, allo Smau Mob App Awards, è stato assegnato tra gli altri anche un premio al partecipante più giovane. Il suo nome è Andrea Giorgi, studente tredicenne di terza media che ha ideato Mangiafuoco, una app che consente di effettuare la prenotazione del tavolo nel ristorante di famiglia e di condividere con gli amici le offerte dell’esercizio e le immagini delle cene. Gli auguriamo che questo sia solo il primo di molti successi.