PUNTI DI VISTA

Smart city, Mochi Sismondi: “Una sfida che non possiamo perdere”

Il presidente di Forum PA e Ad di Smart City Exhibition: “Per far crescere le città intelligenti serve una PA meno fordista e meno gerarchica”. E sui fondi: “Non sprecare quelli europei”

Pubblicato il 22 Ott 2014

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Dopo tanto parlare delle smart city ecco che, proprio mentre a Bologna Fiere si apre la terza edizione di Smart City Exhibition, in programma fino al 24 ottobre, cominciamo ad aver più chiaro il quadro di risorse in cui questa politica dovrà muoversi. Con l’esplicitazione del PON per le 14 città metropolitane, che stanzia circa un miliardo sui temi dello sviluppo sostenibile e le tecnologie (circa 100 milioni per ciascuna delle sette città del sud e circa 50 per le sette città del centro nord), e con la prossima definizione della programmazione europea 2014-2020 che dovrà stanziare per le aree urbane un 5% dei circa 60 miliardi disponibili, il gioco si fa serio. La nostra manifestazione quindi si svolgerà avendo sullo sfondo una domanda chiave: saremo capaci di non sprecare questa occasione? Sapremo far meglio della pessima performance mostrata nella precedente tornata di fondi?

Per rispondere chiameremo a confronto la politica, l’amministrazione, le imprese tecnologiche e la cittadinanza organizzata e ci porremo sulla frontiera del nuovo: della sharing economy, dell’open government, della gestione dei beni comuni, ma anche dell’Internet of things e dell’efficienza energetica.

Nell’affrontare questi temi partiremo da cinque assiomi, che sfatano altrettanti miti (idola li chiamava Bacone) che rischiano altrimenti di rendere molto difficile il successo.

Primo assioma: una smart city non è solo frutto di una buona tecnologie , ma non può essere costruita senza tecnologie. Qui gli errori da evitare sono due: di chi immagina che una comunità intelligente sia fatta solo da sensori, piattaforme tecnologiche e semafori intelligenti, ma anche di chi pensa che non serva una vera rete, che la banda larga non sia necessaria, che le competenze informatiche siano un optional. Noi pensiamo infatti che una smart city è una città che usa intelligentemente le migliori tecnologie disponibili per affrontare la sfida che la globalizzazione e la crisi economica pongono in termini di competitività e di sviluppo sostenibile con un’attenzione particolare alla coesione sociale, alla diffusione e disponibilità della conoscenza, alla creatività, alla libertà e mobilità effettivamente fruibile, alla qualità dell’ambiente naturale e culturale.

Secondo assioma: essere smart non è un compito di un municipio o di un’amministrazione, ma di una città intera. L’amministrazione moderna è infatti quella condivisa, che esce dal palazzo e coglie come opportunità la complessità delle forze sociali, considerando i cittadini e le imprese come portatori non solo di problemi e di bisogni, ma anche di soluzioni e di energie. Insomma niente smart city senza smart citizen.

Terzo assioma: avere le risorse non è sufficiente, ma non se ne può far senza. Non mi stancherò mai di sfatare la favola dell’innovazione a costo zero. L’innovazione, specie quella buona, costa e richiede quindi investimenti oculati. Ma non perseguirla costa infinitamente di più, sia in termini di peggioramento della qualità della vita, sia in termini di risparmi di medio periodo e di tagli agli sprechi. Pensare però di pagare oggi l’innovazione con i risparmi che essa può produrre mi fa pensare al Barone di Munchausen che voleva alzarsi da terra appeso ai suoi capelli!

Quarto assioma: non si può mettere il vino nuovo delle smart city nelle botti vecchie di un’amministrazione fordista e gerarchica. Una città intelligente deve ripensare l’organizzazione della sua amministrazione ed evitare come la peste la frammentazione delle politiche in assessorati distinti che non si coordinano e non si parlano. Una politica olistica, come quella delle smart city, richiede un’amministrazione unitaria e coesa. In questo il vertice politico e il vertice amministrativo devono essere coraggiosi e determinati.

Quinto assioma: i finanziamenti europei non possono costituire il motivo per essere smart, ma dobbiamo essere smart per non sprecarli. Una politica reattiva, invece che proattiva, ci ha portato al disastro che tutti vediamo nell’uso dei fondi comunitari. E’ necessario cambiare verso e partire dai progetti, dalla visione, dall’organizzazione e da lì immaginare l’utilizzo delle risorse esogene. Ma per farlo dobbiamo attrezzarci, lavorare con maggiore coesione, individuare la dimensione ottimale dei progetti.

Non è facile, ma non ci possiamo permettere di sbagliare. In questa tre giorni di Smart City Exhibition ci auguriamo dunque di contribuire a chiarire la direzione in cui politici, amministratori e cittadini devono muoversi nel cammino verso città smart.

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