Da oggi, 28 luglio 2025, anche InfoCert ha introdotto un canone annuale per l’accesso allo Spid, pari a 5,98 euro Iva inclusa. Ma questa non è una notizia isolata. L’azienda, parte del gruppo Tinexta, segue la strada già tracciata nei mesi scorsi da Aruba, primo fornitore a rendere a pagamento l’identità digitale, con un prezzo annuo di 4,90 euro più Iva. Una tendenza che si consolida, ponendo fine all’epoca della gratuità generalizzata e aprendo uno scenario nuovo e controverso per l’intero ecosistema digitale italiano.
Il passaggio a pagamento da parte di due importanti provider privati non è solo una questione commerciale. È il segnale che il modello economico su cui si è retta finora l’identità digitale in Italia non regge più senza interventi strutturali da parte dello Stato. Le implicazioni sono ampie e riguardano la sostenibilità dei servizi digitali pubblici, la governance delle identità elettroniche e il raggiungimento degli obiettivi fissati nel Pnrr.
Indice degli argomenti
Spid: un modello in crisi
InfoCert ha precisato che il rinnovo non è automatico: il cittadino deve esprimere consenso esplicito per accettare il canone, altrimenti il servizio viene interrotto. Ma la motivazione è esplicita: l’azienda ha offerto Spid gratuitamente per dieci anni, contribuendo alla digitalizzazione del Paese, ma ora il modello non è più sostenibile. È lo stesso messaggio che aveva lanciato Aruba al momento dell’introduzione del proprio canone.
Il contesto economico in cui si inseriscono queste scelte è tutt’altro che lineare. Alla fine del 2022 le convenzioni tra lo Stato e i gestori privati di Spid sono scadute. L’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID) ha prorogato i contratti fino all’aprile 2023 per evitare disservizi, ma il governo ha tardato a fornire risposte finanziarie. Il finanziamento promesso — 40 milioni di euro previsti da un emendamento Pnrr — è stato sbloccato solo a marzo 2025. Un ritardo che ha spinto gli operatori a muoversi autonomamente.
InfoCert e Aruba, in particolare, hanno scelto di non attendere ulteriormente: hanno adottato un modello a pagamento per garantire la continuità del servizio, indicando chiaramente che, anche con l’arrivo dei fondi, non si tornerà indietro.
L’effetto domino e il ruolo di Poste Italiane nello Spid
Ad oggi, tra le oltre 40 milioni di identità Spid attive, più del 70% è gestito da PosteID. Finché Poste Italiane continuerà a garantire il servizio gratuitamente, l’impatto sui cittadini resterà contenuto. Tuttavia, se anche Poste dovesse cambiare rotta, il sistema si troverebbe a fare i conti con una commercializzazione di massa di un servizio pubblico, con tutte le conseguenze del caso.
Il rischio di un effetto domino tra i provider è concreto. L’assenza di un modello economico centralizzato e sostenuto pubblicamente ha aperto una frattura tra il principio della gratuità dell’identità digitale e la realtà dei costi sostenuti dai gestori. La spinta alla remunerazione, per alcuni, è diventata inevitabile.
Le convenzioni in scadenza e l’orizzonte del sistema unico
Il tema delle convenzioni è cruciale per il futuro dello Spid. Gli accordi attuali scadranno a ottobre 2025, e il 9 luglio è iniziato il periodo dei tre mesi previsti per il rinnovo o la revisione. Tuttavia, secondo quanto previsto dal Pnrr, il governo non può dismettere lo Spid in tempi brevi: entro giugno 2026, il 70% dei cittadini italiani dovrà essere dotato di un’identità digitale.
Proprio lo Spid ha contribuito in modo decisivo al raggiungimento di questo traguardo, con oltre 40,5 milioni di credenziali attivate. Ma è altrettanto vero che il governo, sotto la guida del sottosegretario all’Innovazione Alessio Butti, ha avviato da tempo un’operazione di convergenza verso un sistema unico nazionale, che faccia leva sulla Carta d’Identità Elettronica (Cie) e sull’IT-Wallet.
Cie, IT-Wallet e le scelte del governo
La Carta d’Identità Elettronica è il vero pilastro del piano governativo. Emessa dal Ministero dell’Interno, integrata con l’app CieID e dotata di un’infrastruttura nazionale stabile, la CIE presenta alcuni vantaggi rispetto allo Spid: costi fissi, governance pubblica e maggiore uniformità.
Il numero di attivazioni della CieID è in forte crescita: da 5,5 milioni nel maggio 2024 a 7,3 milioni nel maggio 2025, secondo i dati del Dipartimento per la Trasformazione Digitale. L’obiettivo è quello di ridurre progressivamente il dualismo tra Cie e Spid, portando tutto sotto l’ombrello dell’IT-Wallet, dove sono già disponibili documenti digitali come patente, tessera sanitaria e carta europea della disabilità.
Ma una migrazione completa non sarà immediata. Servono investimenti, interoperabilità e un’opera di alfabetizzazione digitale. Nel frattempo, lo Spid continua a rappresentare lo strumento di identità digitale più diffuso e utilizzato.
Cittadini e Spid: scelta, costi e trasparenza
Per i cittadini che hanno attivato Spid tramite InfoCert, è possibile rifiutare il pagamento e uscire dal servizio. Il recesso può essere richiesto via Pec o con raccomandata A/R, come indicato sul sito dell’azienda. In alternativa, si può migrare verso altri gestori che, per ora, mantengono la gratuità. Ma la situazione potrebbe cambiare rapidamente.
Se Spid diventa a pagamento per una fetta crescente della popolazione, la digitalizzazione rischia di diventare più costosa e meno inclusiva. L’accesso ai servizi digitali della pubblica amministrazione non può essere condizionato da un abbonamento, pena l’esclusione delle fasce sociali più deboli.
E in un contesto in cui l’Italia punta ad accelerare sulla banda ultralarga, con il suo potenziale di abilitazione di servizi avanzati per la sanità, la scuola, la PA e l’impresa, la piena accessibilità dell’identità digitale diventa una condizione essenziale.
Il futuro è nel coordinamento pubblico-privato
La transizione verso un sistema di identità digitale sostenibile passa da una maggiore chiarezza normativa, da un sostegno economico stabile per i gestori e da un rafforzamento del ruolo pubblico nella governance. Il modello ibrido su cui è nato Spid ha funzionato, ma oggi richiede un ripensamento.
Se il governo intende puntare davvero su un sistema unico nazionale, deve garantire trasparenza, equità e interoperabilità. Fino ad allora, lo Spid — gratuito o a pagamento — continuerà a essere il fulcro dell’accesso ai servizi digitali in Italia. Ma la sua trasformazione in servizio commerciale non può avvenire senza un dibattito pubblico sulle sue implicazioni sociali, politiche ed economiche.
Butti: “Cie più sicura dello Spid”
A consolidare ulteriormente la direzione impressa dal governo arriva anche l’intervista rilasciata dal sottosegretario Butti a La Repubblica. Un intervento che chiarisce l’indirizzo politico: la Carta di Identità Elettronica (Cie) è, e sarà, lo strumento centrale per l’identità digitale dei cittadini italiani. “Il futuro è la Cie”, ha ribadito Butti, sottolineando come Spid abbia svolto un ruolo prezioso, ma anche come la maggiore sicurezza della Cie sia un elemento decisivo per il passaggio a un modello unificato e sotto governance pubblica.
IT-Wallet verso un ampliamento
Il portafoglio digitale IT-Wallet, già usato da oltre 5 milioni di italiani, è destinato ad ampliarsi grazie all’imminente decreto attuativo: ai documenti già presenti, come la patente di guida (che diventerà anche documento di riconoscimento digitale), si aggiungeranno titolo di studio, Isee, tessera elettorale e — in prospettiva — anche la stessa Cie e il passaporto, quest’ultimo più complesso da integrare per motivi di sicurezza internazionale. “Il nostro obiettivo è avere la Cie nel Wallet entro la fine della legislatura”, ha detto Butti.
Nel corso dell’intervista, il sottosegretario ha anche affrontato il tema della verifica dell’età online, progetto sperimentale europeo di cui l’Italia è partner: “Sì alla protezione dei minori, ma senza scivolare in proibizionismi. La tecnologia è l’unica soluzione possibile per governare la tecnologia stessa”. Un principio che si riflette anche nel modo in cui il governo intende gestire la transizione digitale: attraverso l’innovazione responsabile, in dialogo con l’Europa e con il coinvolgimento attivo della filiera tecnologica.
Butti ha infine ribadito l’impegno sul fronte dell’intelligenza artificiale, citando il disegno di legge nazionale (ddl IA) e la partecipazione italiana all’AI Act europeo. A supporto di queste politiche, ha ricordato il miliardo di euro stanziato per il settore e l’ambizione italiana di diventare un hub di riferimento, anche grazie al Piano Mattei per l’Africa, dove digitale, energia e cavi sottomarini rappresentano asset strategici di cooperazione tra continenti.