COMPETENZE

Smart working, nelle aziende italiane nasce il “remote leader”

I manager chiamati a nuove sfide: dovranno essere capaci di guidare ma anche di prendersi cura delle persone in presenza e a distanza. Empatia, ascolto, coinvolgimento e comunicazione efficace le skill più importanti. Il report di Randstad Professionals e Asag

Pubblicato il 22 Set 2021

smart home- smart working

In era di smart working il leader cambia caratteristiche e diventa “remote leader”. Emerge dal report HR Trends & Salary Survey 2021 condotto da Randstad Professionals in collaborazione con l’Alta Scuola di Psicologia Agostino Gemelli dell’Università Cattolica, secondo cui i nuovi “capi” dovranno non solo dimostrare capacità di ascolto e empatia, ma anche acquisire nuove skill. Fra le altre, la capacità di comunicare efficacemente (24%) e di coinvolgere i collaboratori (19%), abilità di gestione e pianificazione (17%, +13% rispetto ai leader tradizionali), affidabilità e capacità di costruire legami di fiducia (12%, +7%) e attenzione alla misurazione dei risultati (11%, assente fra i leader tradizionali).

Smart working, il trend 2022

Nel 2020, durante le prime fasi dell’emergenza sanitaria, si legge nel report, il 72% delle imprese ha introdotto o potenziato il lavoro a distanza per tutti o per una parte dei dipendenti e l’86% di queste ha continuato a operare con questa modalità nel 2021, con i due terzi che proseguiranno anche in futuro. Insieme al lavoro, anche la leadership si esercita sempre più da remoto e necessita di nuove competenze da parte dei manager.

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Le vaste possibilità dello Smart Working : il rapporto dell'Osservatorio del Politecnico di Milano
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“Dalla ricerca emerge come lo smart working resterà nella quotidianità delle imprese: ben il 66% di quelle che lo hanno adottato durante l’emergenza continuerà a utilizzarlo anche in futuro – dice Marco Ceresa, Group Ceo Randstad Italia –. Per adattarsi e avere successo in questa nuova normalità i manager devono essere “remote leader”, cioè leader capaci non soltanto di essere dei “capi” ma soprattutto di prendersi cura delle persone che guidano, in presenza e a distanza. Fondamentali, dunque, diventano la capacità di comunicare efficacemente con i collaboratori, ascoltarli, motivarli e coinvolgerli, ma anche fare squadra, costruire legami di fiducia ed essere in grado di stabilire obiettivi chiari e di misurare i risultati del team”.

Ricostruire un nuovo senso del lavoro

“Cambiamenti di portata così profonda e radicale come quello che stiamo vivendo, toccano il tema identitario – dichiara Caterina Gozzoli, Direttore Asag -. L’essere professionisti e pensare di esserlo in un certo modo viene scosso e messo in discussione. Per questo i lavoratori hanno oggi bisogni più o meno accentuati di essere aiutati a capire e costruire un nuovo senso del proprio lavoro. Si tratta di trovare un equilibrio tra pratiche e significati di valore del precedente modo di lavorare, e spazio e tempo di sperimentazione. Va individuato e compreso cosa è necessario/utile ‘lasciare andare’ per trovare possibilità più funzionali e sostenibili”.

Conseguentemente per i professionisti HR diventa cruciale accompagnare tali processi di risignificazione professionale caratterizzati spesso da situazioni di riparo, di demotivazione o di reattività. Si tratta da un lato di accogliere e trattare eventuali resistenze e fatiche delle proprie risorse umane, dall’altro di orientare in stretta connessione e coerenza con il management verso obiettivi sostenibili e condivisi.

Lo smart working nel 2021

Allo scoppio dell’emergenza sanitaria soltanto il 18% delle imprese ha continuato a lavorare in presenza, il 19% ha introdotto o potenziato lo smart working per tutti i dipendenti e il 53% per almeno una parte dei lavoratori.

In un terzo delle aziende che ha adottato il lavoro a distanza, questo era già presente ed è stato potenziato, mentre il 67% lo ha introdotto a seguito della crisi Covid.

L’86% ha continuato a utilizzare lo smart working nel 2021, con il 66% che continuerà a utilizzarlo anche in futuro e il 20% che invece ha intenzione di interromperlo.

Nella grande maggioranza dei casi la scelta di lavorare distanza è condivisa con il dipendente (83%), mentre solo nel 17% è una decisione unilaterale del top management.

Mediamente lavora in modalità agile il 54% della forza lavoro per una media di 2,5 giorni a settimana e amministrazione e contabilità (86%), HR (81%), IT (71%), marketing e comunicazione (70%) e vendite e contatto con il pubblico (67%) sono le funzioni aziendali più coinvolte. Quasi un’azienda su due ha in programma un ripensamento degli spazi di lavoro, di cui il 13% con lo scopo di diminuire gli spazi alla ricerca di maggiore efficienza e il 34% con l’obiettivo di ottimizzarli.

I cambiamenti attuati dai remote manager

Le principali iniziative che i remote leader hanno attivato per stimolare il coinvolgimento e mantenere il senso di appartenenza all’azienda dei collaboratori sono la rotazione delle presenze (58%), momenti di condivisione formali (52%) e informali (49%), monitoraggio e iniziative di engagement (31%) e proposte formative per la gestione del lavoro ibrido (22%).

Più della metà ha avviato azioni per la condivisione degli obiettivi aziendali e personali con maggiore frequenza (50%), per la condivisione di feedback (55%) e per stimolare la costruzione e il mantenimento dei legami fra colleghi (56%), mentre solo un quarto ha promosso momenti per il recupero delle energie (26%).

Le sfide per i direttori HR

La pandemia e la diffusione dello smart working hanno cambiato anche le priorità sul tavolo dei direttori HR. La principale sfida che dovranno affrontare nel 2021 è infatti la creazione e il mantenimento di un buon ambiente di lavoro che tenga conto delle specificità del lavoro a distanza o ibrido (52%, +11% rispetto al 2020), seguita dall’impegno per trattenere i migliori talenti già presenti in azienda (46%, +6%) e dall’incremento delle performance e della produttività (46%, stabile rispetto allo scorso anno, quando era in prima posizione).

Nella fase di selezione dei candidati da inserire in azienda le caratteristiche più ricercate sono competenze professionali specifiche del ruolo (66%), attitudini relazionali e comunicative (59%), capacità di lavorare in team (54%) e esperienza lavorativa nel settore (49%).

Per il 51% dei direttori HR oggetto dell’indagine l’emergenza ha avuto un impatto sul ruolo dell’HR Manager. Il cambiamento è stato positivo per il 35% del campione, che nel 32% dei casi rileva un rapporto più diretto con i dipendenti, un atteggiamento più empatico nei loro confronti (25%) e una maggiore attenzione da parte del top management (17%). Il 16% ha invece avvertito un cambiamento negativo, dovuto soprattutto alle difficoltà nell’applicazione del protocollo Covid (22%) e di comunicazione a causa del lavoro a distanza (16%).

Quasi due terzi degli HR manager sono soddisfatti del proprio ruolo in azienda (+17% rispetto al 2018), in particolare per una maggiore vicinanza e supporto da parte del top management (45%) e una maggior partecipazione alle decisioni strategiche (46%). In futuro, per il 22% il ruolo sarà sempre più quello di un business partner con una forte interazione con la dirigenza, per l’8% implicherà maggiori responsabilità e sfide e per un altro 8% sarà molto orientato allo sviluppo delle carriere e alla formazione dei talenti.

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