LA DECISIONE

Privacy, Google “oscura” i dati nelle aste pubblicitarie

Da febbraio 2020 non divulgherà più le informazioni agli inserzionisti nell’ambito dell’advertising programmatico. Si punta a tutelare gli utenti e a non renderli identificabili a scopo commerciale

Pubblicato il 15 Nov 2019

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Da febbraio 2020 Google non divulgherà più i dati coperti da privacy alle aziende che partecipano alle aste pubblicitarie.

L’azienda ha annunciato che farà i cambiamenti alle tecnologie che adopera per la pubblicità per proteggere ancora meglio la privacy delle persone, seguendo l’attenta disamina in corso dalle authority dell’Unione europea.

Il tipo di targeting che le aste sulle inserzioni permettono di effettuare è la principale ragione per cui Google è stata capace di assorbire la stragrande maggioranza della pubblicità online e venderla attraverso sistemi automatici, la cosiddetta pubblicità programmatica. Google non fornisce i dati delle sue vendite di pubblicità mostrate sul web, ma cita molto spesso i programmatici come uno dei fattori chiave per la sua crescita.

“Questo cambiamento – ha detto Chetna Bindra, senior product manager, user trust and privacy di Google – ci aiuterà ad evitare i rischi che qualcuno dei partecipanti alle nostre aste sia in grado di associare singoli identificatori di annunci alle categorie di contenuti contestuali di Google”.

Google include le categorie contestuali di contenuti nelle richieste di offerta che invia agli acquirenti che partecipano a un’asta automatica, indicando ad esempio se il sito Web riguarda notizie o meteo.

Tali informazioni hanno aiutato gli inserzionisti a evitare di visualizzare annunci pubblicitari insieme a contenuti che non ritengono adatti ai loro marchi. Negli ultimi anni Google ha rischiato di perdere alcuni dei suoi principali e più grandi clienti dopo che alcuni dei suoi annunci sono stati pubblicati su video estremisti pubblicati su YouTube.

Ma l’azienda ha dovuto anche affrontare delle critiche su come elabora i dati per la pubblicità online personalizzata. A maggio l’autorità irlandese per la protezione dei dati ha aperto un sondaggio su come il colosso della ricerca elabora i dati degli utenti nelle transazioni pubblicitarie. L’authority sta vuole capire se le pratiche di Google sono in linea con le norme sulla privacy dell’Ue, che impongono la trasparenza e la riduzione al minimo della raccolta dei dati.

Le reazioni all’annuncio di Google sono state varie. Per alcuni si tratta solo di un piccolo passo che non aumenta la privacy in maniera sostanziale.

“Google – ha detto Johnny Ryan di Brave Software, azienda che produce un plug in per bloccare la pubblicità nei browser – continuerà a trasmettere richieste di offerta che descrivono in dettaglio quel che si sta guardando o leggendo o ascoltando, verso innumerevoli società. Queste richieste includeranno informazioni su dove si trovano gli utenti e dati sufficienti per collegare queste ed altre cose anche da un punto di vista temporale”.

Google ha dichiarato di aver già messo in atto misure per proteggere la privacy degli utenti, ad esempio richiedendo agli editori di ottenere il consenso degli individui per poter fare delle pubblicità mirate.

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