Nell’ultimo report pubblicato da Stl Partners, “Hurdles remain to scaled migration of telco workloads to the public cloud”, emerge un dato che ridimensiona le ambizioni della trasformazione digitale delle telecomunicazioni: solo circa il 5% dei carichi di lavoro telco è oggi ospitato sul cloud pubblico. Nonostante anni di partnership con hyperscaler e progetti pilota, la migrazione su larga scala delle funzioni di rete – cuore dell’operatività telco – rimane lontana.
L’indagine, basata su oltre 300 collaborazioni analizzate tra operatori e hyperscaler come Aws, Google Cloud, Microsoft e Oracle, evidenzia che le telco hanno spostato in cloud soprattutto i sistemi di supporto (Oss/Bss), i data lake e i workload di analytics. Le funzioni più critiche – core, Ran, Ims – restano invece su infrastrutture proprietarie. Come scrive Stl Partners, “i progressi sono reali, ma la scala resta modesta: la migrazione completa verso il cloud pubblico è ancora lontana anni”.
È un messaggio che rompe la narrativa ottimistica del settore. L’adozione del cloud nelle telecomunicazioni non è un processo lineare, e la promessa di efficienza, agilità e riduzione dei costi deve ancora dimostrarsi concretamente sostenibile. Il futuro, secondo il report, sarà ibrido, con funzioni condivise tra ambienti pubblici e privati.
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Le resistenze tecniche e infrastrutturali
Il 95% delle funzioni di rete resta ancora su infrastrutture on-premise o cloud privato. Le ragioni principali sono tecniche: le architetture di rete richiedono latenza minima, alta affidabilità e capacità di elaborazione in tempo reale che i cloud pubblici, oggi, non garantiscono in modo uniforme.
Stl Partners sottolinea che solo una dozzina di operatori nel mondo ha effettivamente implementato un core 5G su piattaforma cloud pubblica, e in molti casi si tratta ancora di test o ambienti ibridi. Per il Ran, i numeri sono ancora più ridotti. Alcuni progetti, come quello di Boost Mobile con Aws, sono stati abbandonati per costi elevati e complessità di gestione.
In altre parole, la migrazione cloud per i workload di rete non è un semplice “lift and shift”. Servono architetture completamente riprogettate, componenti cloud-native, orchestrazione e gestione automatizzata di funzioni distribuite. E questo comporta investimenti notevoli, con ritorni non immediati.
A complicare il quadro, il disallineamento tra i cicli di investimento tipici delle telco e i modelli di evoluzione rapida del cloud. “Gli operatori lavorano su orizzonti di 10-15 anni, gli hyperscaler su cicli di 18 mesi”, spiega Stl Partners: due velocità difficili da conciliare.
Sovranità, compliance e Tco incerto
Oltre agli aspetti tecnici, le barriere normative restano decisive. Molti Paesi impongono che le funzioni di rete critiche siano gestite su infrastrutture nazionali o certificate. L’Unione Europea sta rafforzando i requisiti di sovranità digitale (tramite Eucs e Nis2), limitando l’adozione di cloud pubblici extraeuropei per i workload strategici.
Gli hyperscaler stanno tentando di rispondere con versioni “sovrane” dei loro servizi cloud o con partnership locali – come Google Cloud con T-Systems in Germania o Microsoft con Orange in Francia – ma i risultati restano frammentari. Ogni mercato ha le proprie regole, e gli operatori si muovono con prudenza.
Il Total Cost of Ownership (Tco) è un’altra incognita. Le telco hanno già investito massicciamente in data center e infrastrutture private; spostare i workload al cloud pubblico implica ammortizzare asset ancora in vita. In molti casi, i potenziali risparmi operativi non giustificano la transizione. “Il Tco del cloud pubblico per i carichi di rete è ancora poco chiaro, e in certi casi può essere superiore”, scrive Stl Partners.
Infine, c’è il tema del lock-in. Spostare funzioni strategiche su piattaforme gestite da un hyperscaler significa cedere parte del controllo sull’infrastruttura e sui dati. È un rischio che gli operatori valutano con attenzione, soprattutto in mercati altamente regolamentati.
Cloud telco ibrido: il modello più realistico
Nel report parallelo “Hyperscalers in the telco vertical: The future is hybrid”, Stl Partners definisce lo scenario più plausibile: un modello cloud ibrido, in cui il pubblico e il privato convivono e si completano.
Le funzioni più “leggere”, come Bss, AI, automazione e gestione dati, migreranno al cloud pubblico per sfruttare elasticità e scalabilità. Le componenti di rete più sensibili resteranno su infrastrutture proprietarie o cloud privati “telco-grade”. L’obiettivo sarà garantire interoperabilità e portabilità dei carichi tra i due ambienti, evitando dipendenze strutturali.
Esempi concreti di questo approccio arrivano da AT&T, Bell Canada e Swisscom, che hanno costruito piattaforme cloud-native in collaborazione con hyperscaler, mantenendo però un controllo diretto sulle funzioni core. Secondo Stl Partners, “il futuro della collaborazione tra telco e hyperscaler sarà definito dal grado di controllo che gli operatori vorranno mantenere e dalla loro capacità di diventare orchestratori di ecosistemi digitali”.
Strategia, competenze e nuovi equilibri di potere
La lentezza della migrazione cloud mette in discussione anche gli equilibri di potere nel settore. Gli hyperscaler, forti della loro capacità di innovazione e delle piattaforme AI, sono partner indispensabili ma anche potenziali concorrenti.
Le telco devono quindi costruire una strategia di coesistenza competitiva, in cui il cloud non diventi un semplice outsourcing tecnologico ma uno strumento di differenziazione. L’integrazione di AI, analytics e automazione potrà creare nuovi flussi di valore, ma solo se l’operatore manterrà un ruolo centrale nella governance dei dati e dei processi.
In quest’ottica, la competenza interna diventa un asset strategico. Stl Partners sottolinea la necessità di “sviluppare capacità cloud-native proprietarie, anche attraverso academy interne o partnership selettive”. L’obiettivo non è solo usare il cloud, ma governarlo, per evitare che la rete diventi un layer subordinato alle piattaforme globali.
Verso un ecosistema aperto e sovrano
Nel medio termine, il modello più solido sarà quello fondato su architetture aperte, API interoperabili e certificazioni di sovranità. L’Europa, con le sue politiche per il digital sovereignty, può giocare un ruolo di bilanciamento tra gli hyperscaler globali e le telco regionali.
Il percorso sarà graduale, ma già oggi si intravedono segnali di maturazione. Gli operatori più avanzati stanno spostando i primi workload AI e di gestione del traffico verso ambienti multi-cloud, testando orchestrazioni ibride.
La vera sfida sarà armonizzare le roadmap di rete e cloud, superando i silos organizzativi interni e creando una visione unificata.
Come conclude STL Partners, “il cloud pubblico non sostituirà le infrastrutture telco, ma ne diventerà una componente. Il futuro sarà ibrido, e la differenza la faranno strategia e competenze”.