Gli economisti Paul Milgrom e Robert Wilson sono gli assegnatari del “premio Nobel” per l’economia (anche se in realtà per le discipline economiche si tratta di un riconoscimento distinto dai tradizionali premi Nobel). Nella motivazione del premio si precisa che le loro intuizioni per progettare nuovi formati di aste per beni e servizi difficili da vendere in modo tradizionale, come le frequenze radio, “hanno avvantaggiato venditori, acquirenti e contribuenti in tutto il mondo”.
Con la teoria delle aste, questi studiosi hanno cercato di comprendere i risultati delle diverse regole per le offerte e i prezzi finali, il design dell’asta, si legge ancora nel comunicato. Si tratta di analisi estremamente complesse e sofisticate perché i partecipanti si comportano in modo strategico, sulla base delle informazioni disponibili anche rispetto ai probabili comportamenti dei concorrenti, secondo i modelli di interdipendenza tipici della teoria dei giochi.
Uno dei principali campi di applicazione della teoria delle aste ha riguardato proprio le frequenze mobili, la cui scarsità ha sempre determinato un problema di vendita selettiva al miglior offerente. In Italia sono passate alla storia tre grandi aste per le frequenze mobili: quella Umts, nel 2000, che generò introiti per circa 25 miliardi di lire; quella del 2011, relativa alle frequenze in banda 800 MHz, 1800 MHz e 2600 MHz che ha registrato un introito di circa 3,5 miliardi di euro; quella 5G più recente, del 2018, relativa alle frequenze 700 MHz, 3600-3800 MHz e 26 GHz che ha fatto registrare un record, a livello mondiale, con un introito per le casse dello Stato pari a 6,5 miliardi di euro.
Abbiamo chiesto un commento, sull’assegnazione del Nobel a Milgrom e Wilson, al Professor Antonio Nicita, ordinario di politica economica in Lumsa ed ex commissario Agcom, relatore proprio della gara multimiliardaria 5G, esaltata da molti sul piano del disegno tecnico, visti i risultati, ma giudicata un salasso dagli operatori mobili.
“Il Nobel a Milgrom e Wilson – commenta Nicita – è un giusto riconoscimento ad un approccio che ha cambiato il modo tradizionale in cui fino ad allora venivano disegnate le aste, specie per le frequenze radio. I regolatori di tutto il mondo hanno presto imparato che i meccanismi d’asta andavano strutturati per indurre i concorrenti a rivelare la propria massima disponibilità a pagare una risorsa limitata e che a tal fine il disegno sia del contenuto posto in gara che delle modalità di offerta dovevano tener conto dell’interdipendenza strategica dei partecipanti”.
Professor Nicita, quali sono i principali meccanismi d’asta e in che condizioni funzionano bene per le frequenze radio?
Senza entrare in analisi sofisticate, il principale punto di partenza risiede nella consapevolezza di una pervasiva asimmetria tra il regolatore e le imprese partecipanti all’asta, circa il valore privato delle frequenze messe a gara, e la correlazione tra i valori privati dei vari partecipanti. L’asta ottimale non serve soltanto a selezionare un vincitore, ma quel soggetto che, operando scelte razionali, attualizza ad oggi il valore corretto d’opzione sul flusso di profittabilità futura delle frequenze, rispetto ai concorrenti. Di fatto il prezzo che si è disposti a pagare è un commitment verso l’impiego ottimo del fattore produttivo per cui si compete. Nel caso delle frequenze mobili con alcuni fattori correttivi richiesti dalla regolazione europea.
Quali sono questi fattori correttivi?
Ne cito solo alcuni. Innanzitutto, la neutralità tecnologica, per la quale man mano si è passati da frequenze vincolate a specifici usi a frequenze per usi general purpose, in modo da internalizzare un valore pieno di mercato ed evitare costosi meccanismi di refarming ex-post, a seguito di innovazione tecnologica. Un secondo aspetto ha riguardato l’asimmetria tra imprese consolidate sul mercato e nuovi entranti, con vincoli di accaparramento per evitare spectrum hoarding, e lotti riservati a nuovi entranti ove necessario. Infine, l’affiancamento, a valutazioni esclusivamente basate sui prezzi di aggiudicazione, di valutazioni volte a garantire investimenti e vincoli di copertura territoriale.
Gli operatori tuttavia si lamentano spesso che spendendo molti soldi per le aste, non ne restano poi per realizzare gli investimenti.
E’ un problema che esiste, ma questo ha a che fare con la capacità delle imprese di comprendere fino in fondo le dinamiche di un’asta e di internalizzare benefici e costi futuri. Se il prezzo finale di aggiudicazione realizzato dalle offerte e contro-offerte degli operatori si rivela troppo alto, la “colpa” non è certo del disegno dell’asta, ma delle strategie correlate dei partecipanti. Un’asta inefficiente è quella che va deserta, non quella che massimizza gli introiti. Ad esempio, nel caso della gara 5G, si sono osservati, a mio avviso, comportamenti di bidding che rivelano, forse, una comprensione limitata del meccanismo dell’asta che era stata proposta.
La gara 5G italiana del 2018 è stata un’asta record. Come si possono stimolare adesso gli investimenti necessari?
In due modi principali direi. Innanzitutto, la parte eccedente gli introiti attesi, come pure fu allora annunciato dal governo, dovrebbe essere reinvestita nel settore digitale per le connessioni 5G. A mio avviso questo del re-investimento nel settore della porzione eccedente gli introiti attesi dovrebbe essere un commitment di tutti i governi in ogni asta di frequenze. In secondo luogo, come sottolineato anche dal recente codice europeo, i meccanismi di sharing di infrastrutture e frequenze andrebbero stimolati. Agcom introdusse per i 26 Ghz un meccanismo di club che è stato poi ripreso da altri regolatori in varie parte del mondo. Insomma, non mancano le soluzioni e gli strumenti per accelerare la connettività 5G.