L'INTERVISTA

Inwit, Suigo: “Resistenze dai territori, bisogna spianare la strada al 5G”

Molto è stato fatto sul fronte delle semplificazioni ma la strada resta in salita: “Le lungaggini burocratiche e le stratificazioni normative che incontriamo a livello locale sono ancora troppe. L’80% del tempo è impiegato per ottenere permessi spesso a causa di dinieghi pretestuosi o per ostruzionismo. Così ne va della digitalizzazione del Paese e della sfida green”

Pubblicato il 18 Mag 2023

Michelangelo Suigo

Il Governo va avanti sulla strada delle semplificazioni per spingere l’infrastrutturazione delle reti ad alta velocità fisse e mobili. Dal Covid in poi numerosi i provvedimenti per snellire iter e processi autorizzativi: ma in concreto cosa è cambiato in questi ultimi due anni? Ci sono state davvero accelerazioni oppure fra il dire il fare continua a imperversare la burocrazia? Michelangelo Suigo, Direttore Relazioni esterne, Comunicazione e Sostenibilità di Inwit, fa il punto della situazione con CorCom.

“Governo e Parlamento sono ripetutamente intervenuti negli ultimi due anni, introducendo strumenti di semplificazione normativa per agevolare la diffusione delle reti a banda ultra-larga. Molto importante è stata l’’inclusione, nel recente Decreto Pnrr, di alcune misure finalizzate a snellire le procedure per la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazione. Altrettanto significativo che il Parlamento, nell’iter di conversione alle Camere, ne abbia ulteriormente migliorato il testo. Per fare un esempio, è molto utile la riduzione da 90 ad un massimo di 60 giorni per la formazione del silenzio assenso relativo alle istanze di autorizzazione per l’installazione delle infrastrutture di telecomunicazione mobile. Ci sono stati quindi importanti passi avanti in questa direzione, tuttavia il processo è ancora lungo, soprattutto per la resistenza di alcuni territori”, spiega Suigo.

In concreto quali sono gli impatti?

Lo scorso anno, come Inwit, abbiamo realizzato 480 nuove torri. La più grande difficoltà che abbiamo riscontrato sono state proprio le lungaggini burocratiche. Le stratificazioni normative che incontriamo a livello locale sono ancora troppe. Fatto 100 il tempo per installare una nuova torre e consentire quindi agli operatori di portare il loro servizio, 4G, 5G o Fwa, solo il 20% del tempo viene infatti impiegato per la realizzazione delle infrastrutture, mentre ben l’80% è legato all’ottenimento dei permessi, spesso per dinieghi pretestuosi o per ostruzionismo. La sfida maggiore per la digitalizzazione del Paese resta quindi la velocità realizzativa. Penso che la semplificazione burocratica e dei rapporti fra PA e imprese deve continuare ad essere al centro dell’agenda politico-istituzionale a tutti i livelli.

La partita dell’infrastrutturazione si intreccia con quella della sostenibilità ambientale?

Digitalizzazione e sostenibilità sono due concetti che agiscono in maniera sinergica. Il nostro core business, ad esempio, consiste nella condivisione di infrastrutture digitali. Inwit, infatti, mette le proprie infrastrutture, torri o coperture dedicate indoor (Distributed Antenna System – Das) e outdoor (small cells) a disposizione di tutti gli operatori del mercato. Ciò significa efficienza economica, a supporto degli operatori telco, ed efficienza di risorse ambientali a beneficio dei territori. Il business dei tower operator è quindi intrinsecamente sostenibile Per noi, inoltre, la digitalizzazione del Paese rappresenta un’opportunità di sviluppo sociale, economico e culturale, in grado di integrare pienamente tutte le dimensioni della sostenibilità. Significa superare le barriere e porre le basi per ridurre le disuguaglianze e per tendere ad un’inclusione digitale che possa garantire pari opportunità nell’utilizzo della rete e nello sviluppo della cultura dell’innovazione. Oltre che hub di telecomunicazione, le nostre infrastrutture sono hub per soluzioni IoT e smart cities e sono ormai al centro dell’ecosistema digitale per contribuire a rendere il nostro Paese sempre più digitalizzato e sostenibile. Questo è il concetto di “tower as a service”, ossia infrastrutture capaci di accelerare le reti ultraveloci in cui si fondono componenti IoT e sistemi di comunicazione, in grado di abilitare servizi innovativi, con impatti decisivi in ogni settore. La digitalizzazione è infatti la vera leva per la creazione di una società più giusta ed inclusiva, e anche più sostenibile e resiliente. Un Paese che deve e può andare alla stessa velocità, grazie ad una digitalizzazione che permetta a tutti i territori di non rimanere vittime del digital divide, ma di trovare un rinnovato rilancio attraverso la tecnologia e le tante opportunità offerte dal 5G. Da una ricerca dell’Istituto Piepoli, è emersa la forte associazione tra innovazione, digitale e sostenibilità. I vantaggi maggiori che vengono percepiti risultano legati agli aspetti ambientali: l’82% degli italiani associa la sostenibilità alla digitalizzazione, il 75% all’inclusione sociale, il 72% al potenziamento delle infrastrutture di telecomunicazione.

Le fake news sul 5G hanno fatto il pieno nel clou del Covid. È un tema che continua a restare tema divisivo sui territori? Qual è la vostra percezione frutto dell’esperienza sul campo?

Esiste ancora un’accentuata disinformazione sul 5G. Tuttavia, sempre secondo l’indagine che citavo, l’88% degli italiani vede positivamente il 5G per la crescita dell’Italia, mentre il 10% lo vede come un rischio con qualche opportunità, e solo il 2% lo percepisce come un rischio. La percentuale di italiani che crede che il 5G possa avere effetti sulla salute è quindi estremamente esigua, ma spesso rumorosa. Va però considerato che esiste uno zoccolo duro che ha idee difficili da scalfire: secondo un sondaggio di Swg, ad esempio, il 15% degli italiani pensa che la terra sia piatta, il 17% che l’olocausto non sia mai avvenuto e il 29% che l’uomo non sia mai sbarcato sulla luna. Tornando a noi, il problema di fondo è proprio questo. Nonostante si percepisca che la maggioranza dei cittadini abbia compreso l’importanza delle infrastrutture digitali e del 5G e i benefici in termini di nuovi servizi e sviluppo economico, esiste ancora una minoranza che riesce ad incidere su un tema così strategico.

È quindi ancora necessaria una forte mobilitazione culturale e politica per far arrivare sui territori un’informazione corretta sul 5G e sugli impatti positivi che derivano dalla digitalizzazione, affinché le fake news non prendano il sopravvento. Parallelamente è necessario far percepire l’infrastruttura digitale per quello che è. Ossia un vero e proprio “alleato” dei territori, un corpo integrato e non estraneo al processo di sviluppo degli stessi. Uno strumento che genera valore, non solo in quanto opera di pubblica utilità, ma in quanto determinante nel processo di digitalizzazione e di sviluppo dei territori. Faccio alcuni esempi: con Legambiente e con il Wwf abbiamo iniziato a monitorare l’ambiente attraverso sensori IoT e telecamere installate sulle nostre torri. Ecco che possiamo così monitorare tutti i parametri dell’inquinamento atmosferico nei Parchi nazionali e nelle aree protette oppure gli incendi boschivi nelle oasi. Ancora: con Uncem abbiamo siglato un accordo in base al quale ci impegnamo a migliorare la copertura in aree in digital divide e molto altro. Questi sono esempi concreti che testimoniano quanto le torri siano a supporto dei territori e non rappresentino affatto un problema. Se vogliamo costruire un Paese moderno, occorre allora un cambio di paradigma: passare dal fenomeno del “Nimby” (not in my backyard) al “Pimby” (please in my backyard), facendo passare il messaggio corretto, ossia che la realizzazione delle infrastrutture contribuisce a colmare i gap territoriali e a dare vita a un modello di sviluppo più inclusivo e sostenibile.

La questione dei limiti elettromagnetici: tutti sembrano d’accordo sulla necessità di un adeguamento ai parametri Ue ma fino ad oggi nessuno si è preso la responsabilità politica di passare all’azione. Crede che il nodo sarà prima o poi sciolto o bisognerà rassegnarsi? E con quali conseguenze sul fronte della roadmap operativa?

In Italia i limiti relativi alle emissioni elettromagnetiche (Cem) sono molto più stringenti rispetto a quelli vigenti negli altri Paesi dell’Ue. A differenza di quanto indicato quasi 24 anni fa in una Raccomandazione Europea, adottata da tutti i principali paesi europei, tra cui Germania, Francia, Spagna e Regno Unito, la nostra legislazione li ha fissati inspiegabilmente a valori 100 volte inferiori in termini di potenza, e non li ha mai rivisti. Questo rimane uno dei maggiori ostacoli per la transizione digitale al 5G. Limiti elettromagnetici così stringenti sono un ostacolo alla competitività del nostro Paese e allo sviluppo delle infrastrutture digitali.  Secondo uno studio del Politecnico di Milano e Cnr del 2019 (quindi i dati sono ora senz’altro peggiorati), la percentuale di impianti in cui i limiti Cem italiani non consentivano una espansione 5G era pari al 62%. Limiti così stringenti portano all’impossibilità di condividere infrastrutture tra più operatori, determinando la necessità di molte nuove infrastrutture e anche ad un maggiore sfruttamento dell’ambiente. Mi sento comunque di rimanere ottimista, sono certo che presto si comprenderà l’importanza di un adeguamento dei limiti, se non vogliamo rimanere indietro rispetto agli altri Paesi dell’Unione europea. Avanzo una proposta, che ritengo possa essere ragionevole: la soluzione equilibrata potrebbe essere una rimodulazione dei limiti attuali, non necessariamente ai massimi livelli europei, ma scegliendo la soluzione più adatta al territorio italiano, e superare così  gli ostacoli all’implementazione delle reti 5G.

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