L'EDITORIALE

Rete unica Tlc, riflettori sul 5G. Il co-investimento prende quota, Italia “modello” vincente?

Il progetto Tim-Cdp riscuote sempre più ampi consensi al punto da fare gola anche alle Tv, in primis la Rai, e alle tower company. E il dibattito si allarga anche alla quinta generazione mobile: rete di accesso comune per accellerare il roll out, abbattere i costi di deployment e spingere il Roi

Pubblicato il 11 Set 2020

torri-5g

La newco delle newco: il progetto AccessCo annunciato da Tim e Cdp per mandare avanti la rete unica di Tlc varca i confini delle telco. E anzi, sono proprio gli operatori non-telco a mostrare maggior entusiasmo nei confronti dell’operazione, segno che la co-partecipazione in logica di co-investimento viene considerata una strada per mettere a fattor comune risorse in chiave di abbattimento dei costi per l’infrastrutturazione, di accelerazione sui piani di digitalizzazione e di remunerazione degli investimenti.

Il cda della Rai, dopo le indiscrezioni dei giorni scorsi, ha deciso di dare mandato ufficiale all’Ad Fabrizio Salini di “partecipare a iniziative e tavoli, in particolare della componente pubblica sulla rete unica” attraverso Rai Way. E i 5Stelle, per bocca di Andrea Cioffi, componente della Commissione lavori pubblici e comunicazioni del Senato lanciano l’appello anche a Ei Towers (controllata da F2i, a sua volta partecipata da Cdp). Il ruolo indiretto e diretto di Cassa depositi e prestiti e dello Stato nella partita sta dunque aumentando, quantomeno sulla carta. E il progetto inizia ad allargare le proprie maglie oltre la rete fissa.

Tutte le società coinvolte, telco e tower company in primis, si preparano per la sfida 5G, quella a più elevate potenzialità tenendo conto dei benefici economici derivanti dallo sviluppo di applicazioni e servizi soprattutto per il mondo industriale e delle imprese. La strada del co-investimento nel 5G è già considerata maestra, anche e soprattutto dalla Commissione europea, che ha dato il via libera lo scorso marzo al colosso delle torri Inwit-Vodafone Towers. “Approviamo la creazione di una joint venture tra due operatori di telefonia mobile che intendono mettere in comune le loro torri di trasmissione per raggiungere insieme questo obiettivo senza compromettere la concorrenza sul mercato al dettaglio e all’ingrosso”, commentava con queste parole il via libera dell’Ue la commissaria alla Concorrenza, Margrethe Vestager.

Che il 5G sia parte del progetto AccessCo è già stato scritto nero su bianco nella nota di Cassa depositi che ha sugellato nei giorni scorsi l’intesa con Tim. “In aggiunta alla rete unica nazionale, Cdp Equity e Tim daranno immediato avvio alle valutazioni in merito ad ulteriori aree di possibile cooperazione per perseguire lo sviluppo di altre tecnologie (5G, edge computing, Data Center, Cloud e altro), cosi da facilitare la rapida introduzione di tecnologie innovative che migliorino l’accessibilità del Paese. Si darà altresì immediato avvio, sotto il coordinamento di Cdp Equity, ad un tavolo tecnico sull’infrastruttura di rete volto, tra l’altro, ad acquisire l’eventuale interesse di altri operatori del settore a partecipare all’operazione anche mediante contribuzione di asset/risorse”, si legge.

Il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli ieri ha detto chiaramente che la società della fibra “può essere il punto di partenza ma non deve essere il punto di arrivo”. L’operazione dunque deve essere più ampia nelle intenzioni del governo: “Vedo una società delle reti e delle tecnologie, che all’interno possa avere tanto la fibra ma anche il 5G, che consenta in un mercato regolato l’accesso a pari condizioni agli operatori”. E Renato Soru, numero uno di Tiscali – azienda che ha siglato un memorandum con Tim nell’ambito del progetto FiberCop (la newco con Tim al 58%, il fondo americano Kkr con il 37,5% e Fastweb al 4,5%), in un’intervista con DigitEconomy.24 dichiara che includere il 5G nella partita newco delle reti “è un passaggio naturale”, segno che il dibattito è già ampiamente in corso.

Una newco delle newco, dunque, senza precedenti e nell’ampio dibattito europeo sul co-investimento l’Italia potrebbe fare scuola inaugurando un modello inedito ma replicabile anche negli altri Paesi. A questo punto però c’è da chiedersi come si articolerebbe fattivamente il progetto: la discesa in campo di attori infrastrutturati e nel caso specifico delle tower company che hanno in casa asset preziosi spariglia il dibattito su quote azionarie e governance: una maxi-compagnia delle reti con dentro tutti i soggetti chiave inevitabilmente alza l’asticella del valore per gli azionisti e il ruolo di Cassa depositi in qualità di garante assicurerebbe tutti i partecipanti sul fronte della governance.

La stessa Open Fiber, attraverso Enel – l’azionista che deve deciderne il destino – a questo punto potrebbe essere più che interessata a scendere in campo vista la pluralità di soggetti. E Vodafone e WindTre, che al momento guardano con “diffidenza” all’operazione potrebbero intravedere nella pluralità di attori la chiave di volta per la fai competition.

Più soggetti partecipano al progetto più si abbatte – è evidente – il rischio di un immobilismo infrastrutturale – questa la paura evidenziata da molti sotto il cappello del “ritorno al monopolio” (quello di Tim, per intenderci): tutti i partecipanti sarebbero a questo punto interessati a mandare avanti la posa delle reti (fibra e 5G) per avviare il prima possibile il lancio di servizi innovativi che generino Roi e ripaghino degli ingenti sforzi economici (nella partita 5G vanno computati anche gli esborsi a nove zeri per le licenze).

Una cosa è certa: l’interesse dei fondi internazionali, da Kkr a Macquaire per citare i due che più degli altri si stanno facendo strada nel mondo delle Tlc italiano, è il segno che la partita delle reti vale molto. E i fondi, si sa, non mettono risorse in progetti che rischiano un “immobilismo” pericoloso per la remunerazione degli investimenti.

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