La speranza è sempre l’ultima a morire. E tutti coloro che si occupano professionalmente di tecnologia e di business sperano sempre che il premier Matteo Renzi, tra un giro in Silicon Valley e qualche buona lettura, prima o poi capisca che per fare la vera innovazione digitale servono bravi ingegneri che hanno lavorato in posti seri di responsabilità in importanti imprese del settore privato.
Prima o poi, quando stringe la mano a Melissa Mayer, amministratore delegato di Yahoo, oppure ha l’occasione di conversare con il cofondatore di Google, Larry Page, anche il Premier capirà che sono tutti ingegneri o personalità con una formazione o educazione tecnica. Solo a quel punto prenderà coscienza che, per fare innovazione servono soprattutto validi ingegneri del software, degli ottimi laureati in computer science che si sono fatti le ossa sul campo del business nella progettazione, realizzazione e gestione di architetture e soluzioni complesse. In assenza di questo ingrediente tutto si riduce ad annunci e a semplice comunicazione mai accompagnata da una chiara capacità di realizzazione. A un parcheggio a scapito dei capitoli del bilancio pubblico e delle tasse altrui di non occupati o di sottoccupati del Pd.
Così, non deve sorprendere se i primi 10 mesi del governo Renzi sono, in ambito di politiche tecnologiche e digitali, una serie ininterrotta di annunci e poco più. Un fiume di interviste per annunciare il nulla o quasi e per non far capire niente di quale sia la visione del governo nel XXI secolo in questa materia. O una successione di eventi senza alcuna utilità, ma molto costosi per i contribuenti, come la kermesse provinciale tenutasi a Venezia. Del resto, il Premier ha affidato l’Agenda digitale ad una squadra zeppa di comunicatori nella quale ingegneri e tecnici “di mercato” scarseggiano o sono praticamente assenti. Così si possono organizzare convention, premiazioni, qualche visita spot a startup più o meno di successo del made in Italy per veicolare qualche immagine di circostanza sui vari Tg nazionali, ma si lascia incancrenire il gap digitale che separa l’Italia dal resto del mondo avanzato. Solo eccellenti ingegneri possono produrre una visione “oceano blu” in grado di rivoluzionare davvero la struttura tecnologica della burocrazia e della macchina pubblica.
In attesa di vedere tanti ingegneri a Palazzo Chigi, si spera che il ministro Madia, pezzo forte del Pd romano, trovi il tempo di rispondere alle interrogazioni ed interpellanze, anche a quella del vicepresidente della Camera, Luigi di Maio, sulle nomine Agid. La gauche caviar capitolina non può più permettersi opacità nel chiarire i dettagli dei processi decisionali dei suoi esponenti.