Alta formazione Ict, volano di sviluppo

Nella crisi, a mancare è stata è la conoscenza necessaria a trasformare la tecnologia in innovazione di impresa e in valore aggiunto. Non a caso quello della formazione è uno dei pilastri dell’Agenda Digitale. Serve riconoscere a chi si tiene aggiornato questo investimento, per esempio in termini di detrazioni fiscali o veri e propri “buoni formazione”

Pubblicato il 19 Gen 2014

I dati della cassa integrazione nel settore Ict e sulla disoccupazione giovanile, soprattutto tra i laureati, sono preoccupanti non solo perché segnalano un problema gigantesco ma anche perché portano alla luce tutta la problematicità della soluzione.
Nei settori a più alta specializzazione produttiva, quelli che possono trainare la crescita, rimanere fuori dal sistema produttivo non è solo umiliante sul piano personale ma produce soprattutto un depauperamento delle proprie conoscenze e un analfabetismo di ritorno.

Il risultato è che mentre aspettiamo che il paese torni a crescere, i nostri principali elementi di crescita – il talento e le persone – continuano a distruggersi. Le “fabbriche” della società della conoscenza, che sono le persone, non saranno più adeguate a rispondere ai cambiamenti. E sono le “fabbriche” che necessitano di maggiori anni per essere ricostruite.
Il settore Ict è protagonista di una continua rivoluzione: chi è uscito dal mondo del lavoro qualche anno fa e si ritrovasse a rientrare oggi avrebbe di fronte a sé tecnologie e conoscenze totalmente cambiate.

E il problema delle nuove competenze riguarda anche gli imprenditori. Le ultime statistiche Istat ci dicono che, spesso, questi non hanno una formazione universitaria e che solo il 14,8% degli imprenditori di microimpresa sono laureati; per Almalaurea, inoltre, solo il 40% delle imprese italiane sono guidate da manager. Si tratta di dati preoccupanti in un mondo nel quale per guidare un’impresa fuori dalla crisi c’è bisogno di competenze sempre più sofisticate.

L’Italia, poi, ha il 20% di laureati tra i 30-34 anni contro una media europea del 34,6% e il target del 40% di Europa 2020: siamo il paese Ocse che ha meno laureati e la più alta disoccupazione tra essi. Questo ritardo si fa sentire su tutta l’economia.
Tutti questi dati si si sommano a quelli agghiaccianti sui Neet (Not engaged in Education, Employment or Training), che ormai sono il 27% nella fascia under 35 e che corrono il rischio di perdere anche le competenze acquisite nel percorso scolastico, o a quello scarso 9% di italiani in grado di “scrivere” un programma software.

I dati Istat rilevano anche che sono cresciute le aziende che posseggono una connessione in banda larga dal 78,5% del 2007 al 94,8% di oggi, eppure questo non ha prodotto nessun dato apprezzabile in termini di crescita. Ciò dimostra che, nella crisi, a mancare è stata è la conoscenza necessaria a trasformare la tecnologia in innovazione di impresa e in valore aggiunto. Avere l’auto non basta per saperla guidare. In un mercato del lavoro nel quale nessuno farà uno stesso lavoro per tutta la vita non possiamo più pensare che la formazione sia un optional.

Eppure quello della formazione è uno dei pilastri dell’Agenda Digitale. Dunque è necessario riconoscere a chi si tiene aggiornato questo investimento, per esempio in termini di detrazioni fiscali o veri e propri “buoni formazione” da spendere in strutture accreditate e su temi programmati. La recente iniziativa del governo per una detrazione sul costo dei libri può diventare un modello da indirizzare verso la formazione presso strutture di eccellenza e/o universitarie.

Di sicuro è necessaria una vera mobilitazione nazionale che porti a far rientrare in percorsi formativi tutta la popolazione attiva.
Trasformare le idee in startup e l’Ict in crescita economica è impossibile se non investiamo in conoscenza, formazione e competenze digitali. Si tratta di priorità irrinunciabili a cui il governo e la classe dirigente non possono più sottrarsi.

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