Basta la parola. Uber, l’app della discordia ma anche un fenomeno globale: in quasi 40 città dagli Stati Uniti all’Europa fino a Singapore; da 0 a 12 miliardi di dollari in cinque anni e un effetto dirompente sulle regole dei trasporti urbani e sul sistema nervoso dei tassisti di mezzo mondo. La battaglia continua, tra resistenze e passi avanti: a inizio luglio l’Antitrust ha segnalato l’esigenza di adeguare le norme all’evoluzione tecnologica, offrendo un assist a chi, anche nel Governo, ritiene che non si possa mettere la testa nella sabbia. Con la country manager di Uber Italy, la trentenne Benedetta Arese Lucini, andiamo oltre la cronaca. Per capire perché un’app può fare tanto rumore (oltre che tanti soldi).
Arese, nel libro Big Bang Disruption di Larry Downes e Paul Nunes, Uber viene citata ben 12 volte. Che cosa ne ha fatto un caso globale di innovazione?
La capacità delle tecnologie digitali di dissolvere le barriere tra settori e rivoluzionare le dinamiche dei mercati tradizionali è stata evidenziata da molti studi autorevoli, tra i quali proprio ‘Big Bang Disruption’. La novità che Uber ha portato è quella di far leva sulla tecnologia per aprire il sistema dei trasporti urbani a nuovi attori, rompendo le logiche di un settore che è stato fermo per molti anni. La nostra piattaforma ha messo in luce l’esistenza di nuove esigenze di mobilità in molte città del mondo, che senza Uber sarebbero rimaste insoddisfatte.
Uber è anche un caso esemplare di economia delle app. Dove sta il valore? Quanto conta la tecnologia e quanto la capacità di individuare un bisogno che emerge dal basso?
La capacità di sviluppare una piattaforma tecnologica sicura, affidabile e semplice da utilizzare è certamente alla base del nostro business. Tuttavia, per noi è ancora più importante lo spirito con cui la piattaforma è stata pensata. Oggi le persone hanno bisogno di muoversi in città in modo più veloce, utilizzando servizi comodi a un prezzo accettabile. I conducenti chiedono invece soluzioni per lavorare con maggiore autonomia e flessibilità. La tecnologia mette in contatto queste due esigenze e le soddisfa entrambe: da qui nasce la piattaforma Uber, con cui vogliamo dare più scelta a più persone.
Perché una semplice app può generare un tale cambiamento (e così tante reazioni)?
Quando una categoria come quella dei tassisti si sente minacciata dall’innovazione e dall’ingresso di nuovi attori sul mercato, è naturale aspettarsi che le reazioni siano molto accese. Il dibattito sulla app Uber deve però essere inquadrato in un confronto più ampio sulla sharing economy e la sua portata rivoluzionaria. Su questo tema è intervenuta di recente anche Neelie Kroes, vice presidente della Commissione Ue e responsabile per l’Agenda Digitale, che ha invitato a riflettere sui tanti casi in cui la tecnologia ha permesso di creare nuovi servizi, progettati a misura del consumatore e quindi più flessibili: dalla musica alle prenotazioni degli hotel, dai media tradizionali ai sistemi di pagamento, il nostro è solo l’ultimo di tanti esempi in cui l’innovazione ha scardinato dei meccanismi consolidati e aperto strade nuove.
Stati Uniti ed Europa: quali sono le differenze con cui le proposte dell’app sono state accolte?
In America il dibattito si è già sviluppato in modo più ampio e abbiamo già potuto discutere i benefici di Uber. Uno studio indipendente della società di consulenza EcoNorthwest ha stimato in oltre 46 milioni di dollari l’impatto di Uber sull’economia di Chicago nel 2013, associati alla creazione di quasi 1.000 posti di lavoro e circa 25.000 spostamenti che il sistema dei trasporti urbani non avrebbe potuto erogare (spostamenti aggiuntivi a quelli normalmente tracciati in città).
Come finirà in Italia?
Uber è arrivata in un momento di grandi cambiamenti, in cui da più parti si sente il bisogno di innovazione per battere la crisi, recuperare fiducia e dare spazio alle energie che il Paese è in grado di generare. Ci dispiace vedere che spesso le logiche corporative tendono a ostacolare l’innovazione e, ancor di più, non possiamo accettare di subire minacce o aggressioni. Restiamo profondamente convinti che il dialogo sia la strada migliore per far decollare l’innovazione e portare vantaggi per tutti. Quando Uber arriva in una città, è dimostrato, per esempio da uno studio della New York University, che contribuisce a far crescere l’intero mercato della mobilità urbana.
Arese (Uber): “Ecco cosa ci rende vincenti”
Parla la country manager della filiale italiana: “Abbiamo intercettato le nuove esigenze di mobilità e rotto i vecchi schemi. Ma in ballo c’è la sharing economy e la sua portata rivoluzionaria”
Pubblicato il 24 Lug 2014
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