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Avenia: “Agenda digitale, la parola d’ordine è semplificare”

Per l’Agenda digitale si apre una nuova fase, ma l’Italia rimane fanalino di coda nei primi segnali di ripresa e nell’uso delle tecnologie. E’ sufficiente concentrarsi sulle priorità individuate dal Crescita 2.0 o politica e istituzioni devono fare di più? Ecco cosa ha risposto al Corriere delle Comunicazioni il presidente di Asstel

Pubblicato il 22 Gen 2014

Cesare Avenia, presidente di Asstel

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«Semplificare, semplificare, semplificare» è questa la parola d’ordine che dovrebbe guidare l’azione pubblica nell’attuazione dell’Agenda digitale. Così alla domanda se il 2014 potrebbe essere l’anno della ripresa, mi sento di rispondere affermativamente solo se la semplificazione, da attuarsi in ogni livello organizzativo e grado procedurale della Pubblica amministrazione, nonché dei rapporti fra questa e i cittadini e le imprese, sarà identificato come il vero obiettivo da raggiungere attraverso i processi di digitalizzazione del Paese. Proprio l’emanazione del Decreto Crescita 2.0, che pure abbiamo salutato come un importante passo in avanti, ha evidenziato come non basti pubblicare norme innovative perché si possano produrre benefici tangibili.

Anzi, appare ormai chiaro che più le norme sono mirate a introdurre dei cambiamenti significativi nell’operato della PA, più il grado di resistenza verso la loro applicazione si dimostra elevato. Il risultato è che a oltre un anno di distanza dalla legge che doveva creare le condizioni quadro per accelerare l’implementazione dell’Agenda digitale in Italia, stiamo ancora aspettando che i ministeri, le Regioni e tutti gli enti chiamati a dare il loro parere, si mettano d’accordo fra loro sulla maggior parte degli oltre venticinque regolamenti previsti dalla norma per essere attuata. Fra questi, ricordo, come vi sia rimasto impantanato anche il famoso “Regolamento scavi” che, concepito per facilitare la messa in opera della fibra ottica, è stato sì emanato, ma con un articolo che, a causa dell’opposizione del ministero delle Infrastrutture, impedisce l’uso di materiali innovativi, vanificando l’impatto positivo della norma.

Così come gli operatori di Tlc stanno ancora aspettando le linee guida per l’attuazione dei nuovi metodi di rilevazione delle emissioni elettromagnetiche, necessarie per superare la frammentazione e la farraginosità delle procedure di autorizzazione per l’installazione di stazioni radio base per reti di comunicazione mobili Gsm/Umts e Lte. Quindi accade che stimando in circa 8.000 stazioni radio base il numero di impianti necessari agli operatori nel 2014, bisogna prevedere che oltre il 20% degli impianti sarà bloccato dalla complicazione dei percorsi burocratici e dalle mancate autorizzazioni comunali. Emblematico, a questo proposito, è il caso di quei Comuni che, trovandosi in zone suburbane o rurali, quindi teoricamente molto interessati a ridurre il digital divide, di fatto ostacolano senza alcuna giustificazione l’installazione di nuovi impianti a tecnologie Lte impedendo lo sviluppo di investimenti nella propria area geografica. Solo nel 2013 possiamo contare più di 200 casi di mancata copertura del territorio con servizi Tlc evoluti per blocchi burocratici.

Cruciale, sotto questo aspetto, è la questione dell’identità digitale, giustamente posta dal commissario Caio fra le priorità dell’Agenda digitale, sulla quale è indispensabile giungere a stabilire un sistema sicuro, ma assolutamente semplice e amichevole. Se vogliamo, infatti, che l’attuale circolo vizioso delle arretratezze e ritardi diventi il circolo virtuoso della ripresa e della modernizzazione, dobbiamo riuscire ad attrarre verso i servizi digitali anche quella metà della popolazione italiana che ancora oggi non usa Internet. Solo così riusciremo a supportare lo sviluppo degli investimenti in reti di nuova generazione e il raggiungimento dei target dell’Agenda digitale.

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