IL DOCUMENTO

Banda larga servizio universale: la Ue “vira” verso la proposta italiana

Bruxelles pronta a cambiare le norme. Si punta su misure vincolanti affinché ciascun Paese garantisca a spese pubbliche l’accesso alla Rete da parte di tutti i cittadini. In arrivo anche nuove regole per le aste delle frequenze. Stop agli investimenti in rame: il futuro è la fibra

Pubblicato il 01 Ago 2016

Patrizia Licata

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La Commissione europea abbraccia la linea già proposta e sostenuta dall’Italia nel corso del semestre di presidenza del Consiglio d’Europa, nel 2014, considerando Internet come servizio universale e proponendo misure vincolanti per tutti i paesi membro perché garantiscano, a spese pubbliche, l’accesso alla Rete a tutti i loro cittadini. E’ quanto scrive il sito Euractiv che ha visionato un documento interno della Commissione. Il documento indica anche che la Commissione vorrebbe imporre ai paesi Ue nuove regole per le aste delle frequenze.

Nel dettaglio, Bruxelles si prepara a modificare, all’interno del Pacchetto Telecom che sarà presentato a settembre, le regole sui servizi universali per includere l’accesso a Internet su banda larga e renderlo legalmente garantito; al contrario, servizi ormai obsoleti, come le cabine telefoniche pubbliche, saranno escluse dalla nuova legge.

Le associazioni dei consumatori e gli europarlamentari che da sempre spingono perché l’Ue migliori la copertura Internet nelle aree rurali e remote saranno soddisfatte dall’inclusione della banda larga tra i servizi universali garantiti; anzi, alcuni eurodeputati potrebbero chiedere che siano previste garanzie anche sulla qualità o la velocità della connessione. Ma i governi nazionali potrebbero non essere altrettanto soddisfatti: la modifica normativa implica che siano gli Stati, con i soldi pubblici, a pagare per garantire che tutti i loro cittadini abbiano Internet broadband, non le aziende telefoniche private. La Commissione sostiene nel documento visionato in anteprima da Euractiv che “Dati i suoi enormi benefici sociali ed economici, il servizio universale dovrebbe essere finanziato tramite il bilancio generale, non con fondi di settore”, ma i governi si chiederanno dove prenderanno i soldi aggiuntivi per garantire l’accesso alla banda larga. Più contente le telco: “Le aree rurali non possono aspettarsi che il settore privato finanzi tutto il lavoro di copertura”, ha indicato una fonte dell’industria telecom.

Nell’Unione europea solo Finlandia e Spagna hanno già reso Internet un servizio universale: le aziende devono fornire accesso alla banda larga a prezzi vantaggiosi. In Uk l’ex primo ministro David Cameron aveva annunciato l’anno scorso che avrebbe varato misure simili.

L’Italia aveva portato i temi dell’accesso alla Rete come servizio universale e della net neutrality all’attenzione di tutti i paesi Ue durante il suo semestre di presidenza del Consiglio d’Europa. A novembre 2014 il sottosegretario alle Comunicazioni Antonello Giacomelli affermava: “Sono certo che per tutti noi la neutralità della rete costituisca il primario valore di riferimento. L’affermazione di una rete aperta, libera, non discriminatoria, ha bisogno di due presupposti. Il primo consiste in una adeguata regolamentazione. La seconda è che il realizzarsi di un accordo diretto tra gli operatori e gli OTT, senza alcun ruolo delle istituzioni, alzerebbe una barriera finanziaria per i nuovi entranti e frenerebbe l’innovazione che è sempre stata il motore dello sviluppo di internet. Entrambi questi presupposti ci portano a concludere che è necessario un ruolo attivo e forte delle istituzioni. Partendo da questo approccio, la proposta che noi avanziamo è di liberare la riflessione in corso dal contrasto tra le ragioni degli operatori e quelle degli OTT, rimettendo invece al centro l’interesse, o ancor meglio il diritto del cittadino utente. In altre parole, a nostro avviso, dobbiamo partire dal considerare a tutti gli effetti l’accesso adeguato alla rete un servizio universale, un diritto fondamentale, un bene essenziale”.

Proseguiva Giacomelli: “Chi, meglio dell’Europa, che ha nella sua cultura e nella sua storia la compiuta elaborazione e la positiva affermazione del Servizio universale, può promuovere in uno scenario globale l’adeguato accesso alla rete come diritto fondamentale di ogni persona? Questa concezione, che assume come prioritario il diritto del cittadino, consentirebbe di coinvolgere attivamente tutti i soggetti economici, siano essi operatori o fornitori di servizi e contenuti, nella responsabilità di sviluppare ed implementare le infrastrutture di rete”.

Ci sarà un altro tema caldo sul tavolo a settembre: la Commissione europea introdurrà cambiamenti alle regole sulle gare per le frequenze radio. L’idea è di accelerare il passaggio alle nuove reti mobili 5G, molto più veloci, dicono i rappresentanti dell’esecutivo Ue. Secondo Euractiv, il documento interno della Commissione sostiene che “l’amara pillola” delle nuove regole vincolanti per tutti i paesi Ue sulle aste dello spettro si dovrà far ingoiare al Parlamento europeo con “lo zuccherino” del 5G. Che cosa chiede in sostanza la Commissione? Che i paesi Ue si coordino tra di loro su quando indicono aste sullo spettro e usino gli stessi criteri di licensing per le vendite delle frequenze; in più le reti in rame devono essere mandate in pensione e le aziende di telecomunicazione dovranno costruire nuove reti broadband in fiber glass. Stavolta saranno probabilmente le telco le prime a protestare, soprattutto i grandi operatori, nel cui modello di business c’è l’affitto delle vecchie reti a società più piccole.

Ma la Commissione è decisa, tanto che intende chiedere ai regolatori telecom nazionali di intervenire se le telco continuano a investire nelle reti in rame. Insomma, un caso come quello della tedesca Deutsche Telekom, che ha ottenuto dall’Europa un controverso e parziale sì per l’uso del vectoring, probabilmente non si ripeterà: le telco sono avvertire, devono investire in fibra, non “pompare” il rame.

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