Riflettori (ancora) puntati sulle aree grigie del Piano Italia a 1 Giga, dove si gioca una partita cruciale tra Open Fiber e FiberCop per il futuro della banda ultralarga in Italia.
Secondo quanto risulta a CorCom, il cda di Open Fiber riunitosi ieri ha espresso un “no” alle condizioni attuali della proposta di FiberCop, senza però chiudere definitivamente la porta a una soluzione negoziale.
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Il “no” condizionato del cda Open Fiber: tempi, metodo e governance
Nel cda di ieri, Open Fiber non ha respinto in toto l’operazione, ma ha espresso forti perplessità su tre fronti:
- Tempistiche troppo strette: il passaggio entro il 30 giugno è ritenuto irrealistico. Richiederebbe la ristrutturazione del piano industriale, nuove negoziazioni con le banche, consultazione dei sindacati e autorizzazione da parte dei soci (Macquarie al 40% e Cdp al 60%).
- Modalità di valutazione economica non conformi alla prassi ordinaria per operazioni di questo tipo. FiberCop ha proposto un indennizzo iniziale con saldo successivo alla due diligence, una proposta che Open Fiber ritiene squilibrata.
- Modalità di cessione poco chiare e difficilmente praticabili entro il 30 giugno, specie se si optasse per la cessione di un ramo d’azienda: questa ipotesi comporterebbe il trasferimento di dipendenti, una ristrutturazione societaria complessa e il vaglio dell’Antitrust, allungando i tempi in modo significativo.
Tuttavia, la disponibilità a trovare una soluzione resta “totale”, come risulta al nostro giornale, a patto che si dimostri la necessaria flessibilità al tavolo del Dipartimento per la Trasformazione Digitale.
Il nodo dei cinque lotti da cedere a FiberCop
La partita riguarda la possibile cessione fino a cinque degli otto lotti delle aree grigie, quelle cioè a “fallimento di mercato” parziale, inizialmente assegnati a Open Fiber. Il piano di subentro è stato promosso dal Dipartimento per la Trasformazione Digitale (Dtd), che punta a rimettere in carreggiata l’implementazione della rete ultraveloce nazionale, evitando sanzioni e ritardi sul fronte Pnrr.
A lanciare il primo segnale era stata la stessa FiberCop con una lettera del 2 aprile firmata dal presidente e Ad Massimo Sarmi, proponendo il subentro in tutti gli otto lotti di Open Fiber, per un totale di 2,2 milioni di civici. I ritardi accumulati – stimati inizialmente in 600mila civici, poi ridotti a 250mila – mettono a rischio gli obiettivi da raggiungere entro la verifica Infratel del 30 giugno, data che coincide con la scadenza proposta per il passaggio.
Ipotesi alternative: scorporo per comuni o valutazione successiva
Sul tavolo restano alcune ipotesi alternative per superare l’impasse:
- Cessione selettiva lotto per lotto, valutando criteri oggettivi di scorporo dei comuni e assegnazione dei più critici.
- Proseguire con la cessione degli asset e differire la valutazione economica a un momento successivo.
- Evitare la cessione di ramo d’azienda, procedendo invece con una cessione contrattuale di parte dei diritti di concessione, meno impattante sotto il profilo regolatorio.
Tutte opzioni che, tuttavia, richiedono tempi tecnici superiori a quelli fissati inizialmente.
Una sfida strategica tra operatori (e visioni)
La vicenda mette a nudo anche la diversa visione industriale dei due operatori. Da un lato Open Fiber, player wholesale-only con forte partecipazione pubblica, impegnato su larga scala nella costruzione di una rete Ftth neutrale. Dall’altro FiberCop già coinvolta nella cablatura di 1,3 milioni di civici su sette lotti e motivata a espandere il proprio perimetro per rafforzare la propria posizione di mercato.
La complessità dell’operazione coinvolge anche equilibri di governance e strategie di posizionamento a lungo termine: una trattativa accelerata rischia di compromettere non solo la fattibilità tecnica, ma anche la sostenibilità economica per Open Fiber.
Il ruolo del governo e l’urgenza del Pnrr
Nel mezzo, il governo – e in particolare il Dtd – cerca di facilitare un’intesa per evitare l’inadempienza sugli obiettivi del Pnrr. Il pressing istituzionale mira a garantire continuità operativa, ma si scontra con la realtà di una trasformazione infrastrutturale che non può essere compressa nei tempi della politica.