L'INTESA

Rete unica Tim-Open Fiber, inizia la nuova era. La “regia” a Cdp

Disco verde dai cda. Pieno accordo degli azionisti e dei fondi Kkr e Macquaire. Il memorandum sancisce l’avvio del progetto di integrazione degli asset di rete fissa. Fissata al 31 ottobre la deadline per arrivare a un accordo vincolante. Intanto si scalda il fronte sindacale: il 21 giugno lo sciopero nazionale

Pubblicato il 29 Mag 2022

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Per la rete unica di Tlc strada più che spianata. Dopo anni di chiacchiere sul progetto di integrazione degli asset di rete fissa di Tim e Open Fiber arriva il via libera degli azionisti delle due società durante i cda straordinari convocati per la firma dell’atteso memorandum of understanding che sancisce l’avvio ufficiale del percorso di integrazione delle reti.

Si sblocca dunque la partita con la quadra trovata fra tutti i player in campo a partire da Cassa depositi e prestiti (attraverso Cdp Equity) con il suo doppio ruolo di azionista di Tim (con una quota vicina al 10%) e Open Fiber (60%) e dai due fondi: l’americano Kkr al 37,5% in Fibercop (la wholesale company di casa Tim protagonista de progetto) e l’australiano Macquaire che ha rilevato il 40% di Open Fiber dopo l’uscita di scena dei Enel.

Il controllo a Cdp Equity

“L’obiettivo del Mou – si legge nella nota emessa a seguito dei cda – è avviare un processo volto alla creazione di un solo operatore delle reti di telecomunicazioni, non verticalmente integrato, controllato da Cdpe e partecipato da Macquarie e Kkr, che consenta di accelerare la diffusione della fibra ottica e delle infrastrutture Vhcn (Very High Capacity Networks) sull’intero territorio nazionale, permettendo così l’accesso ai servizi più innovativi ed efficienti offerti dal mercato alla generalità della popolazione, agli enti pubblici e alle imprese, contribuendo in tal modo ad uno sviluppo più celere, duraturo e sostenibile del Paese”.

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Sarà Cdp Equity dunque a fare da “regista” dell’operazione “nel rispetto dei vincoli regolatori inerenti le attività infrastrutturali, dei processi autorizzativi interni e degli interessi dei rispettivi azionisti, investitori e stakeholder, nonché in piena, trasparente e preventiva consultazione con tutte le competenti autorità nazionali ed europee”.

Operazione in 2 step: scorporo e conferimento in Open Fiber

Per l’integrazione vera e propria ci vorrà però del tempo anche in considerazione della differente natura tecnologica degli asset e bisognerà anche capire quali asset conferirà realmente Tim. Nella nota si puntualizza che “le parti hanno condiviso che l’operazione possa articolarsi mediante la separazione delle attività infrastrutturali di rete fissa da quelle commerciali di Tim – mediante un’operazione societaria o combinazione di operazioni societarie da definirsi – e l’integrazione delle prime con la rete controllata da Open Fiber con modalità da definirsi”. Stando alle prime indiscrezioni l’operazione dovrebbe svolgersi in due fasi: nella prima gli asset di Tim – backbone incluso (ma non è scontato) passerebbero nelle mani di Cdp, nella seconda gli stessi sarebbero confluiti in Open Fiber. Il tutto per arrivare all’operatività della rete unica nel 2025.

Quanto vale la rete Tim?

Oltre alla questione della governance che dovrà essere messa a punto nei dettagli resta da capire a quale “prezzo” sarà ceduta la rete di Tim in caso di ipotesi di vendita a Cdp-Open Fiber: la forchetta oscilla fra i 16 e i 21 miliardi in base alle valutazioni degli analisti. Ma la questione del valore va calcolata tenendo conto di due importanti fattori: nella newco sarebbe trasferito il debito di Tim e poi bisognerà calcolare il numero di dipendenti in ballo. Questione, quest’ultima, su cui i sindacati hanno acceso i riflettori da tempo senza risposte convincenti né da parte dell’azienda (con cui vanno avanti gli incontri periodici) né soprattutto del Governo, considerato “latitante” sulla faccenda. Nei giorni scorsi  la questione è stata portata anche al tavolo Tlc al Mise. Riprogrammata al 21 giugno  la mobilitazione nazionale nonché una serie di iniziative con un fitto calendario. Le motivazioni dello sciopero riguardano “le incertezze societarie, il piano industriale di alienazione della rete Tim, la difesa dei perimetri occupazionali, il rilancio strategico ed industriale del più grande ed importante Gruppo di Telecomunicazioni del Paese e contro il piano di taglio dei costi del lavoro irricevibile, presentato il 16 maggio e contro le ipotesi di scorporo della rete, per l’unicità dell’azienda a difesa della tenuta occupazionale delle lavoratrici e dei lavoratori delle aziende del Gruppo Tim”.

“Dalla separazione dell’infrastruttura di rete fissa traiamo le risorse per investire nei sevizi e nello sviluppo dei rapporti con i clienti e del mobile, competendo più agevolmente nel mercato dei servizi digitali”, ha scritto Pietro Labriola, amministratore delegato di Tim, nel commentare in un post inviato ai dipendenti il via libera al memorandum di intesa per la rete unica. Con la firma del Mou, ha scritto l’azienda ai dipendenti, ”diventa più concreto il progetto illustrato dal Piano Industriale” relativo al superamento dell’integrazione verticale e alla focalizzazione di Tim su tutti i servizi di telecomunicazione per i segmenti delle famiglie e delle Pmi, sullo sviluppo del mobile e la definitiva affermazione come il player di riferimento nel segmento dei grandi clienti e la PA”.

Fissata al 31 ottobre la deadline per l’accordo vincolante

Sul perimetro se ne saprà di più il prossimo 7 luglio quando l’Ad Pietro Labriola svelerà i dettagli del piano industriale 2022-2024 che fa leva sullo scorporo e sulla creazione delle due newco NetCo e ServCo, ma intanto oggi Tim fa sapere che ad esito dell’operazione di scorporo “potrà focalizzare in via prioritaria le proprie attività nei servizi di telecomunicazione e trasmissione di dati”. La deadline successiva sarà poi quella del 31 ottobre: “Con la sottoscrizione del MoU non vincolante le parti si sono impegnate a negoziare in via esclusiva e in buona fede i termini e condizioni dell’operazione con l’obiettivo di addivenire alla firma di eventuali accordi vincolanti”, entro, appunto, il 31 ottobre.

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