IL LIBRO

C’era una volta Telecom Italia

Addio o arrivederci? In un libro che racconta la tormentata storia che ha portato al maxi indebitamento e al ridimensionamento di una multinazionale un tempo riferimento a livello mondiale. Maurizio Matteo Dècina si interroga sui possibili scenari. Il futuro non è stato ancora scritto del tutto

Pubblicato il 29 Ott 2013

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“…All’inizio del 2000, dopo alcuni anni di “apprendistato” in una grande società di consulenza internazionale, pieno di entusiasmo mi “imbarcai” per la Spagna. Non avevo ancora trent’anni. Andavo a lavorare in una delle tante aziende legate al gruppo Telecom che all’epoca contava una trentina di società in altrettanti paesi del mondo. L’atmosfera che si respirava in quel periodo era veramente straordinaria. C’erano entusiasmo, aspettativa di crescita, eccitazione. La fiducia nelle capacità manageriali e nel know-how tecnologico andavano ben oltre l’illusione speculativa della new economy. Con i miei colleghi guardavamo la mappa delle partecipazioni internazionali come quando si gioca a RisiKo! E si piazzano i carri armati nei punti strategici. Più la guardavamo e più ci convincevamo di far parte di una squadra vincente… Gli esiti hanno però deluso le aspettative. È successo infatti qualcosa che noi giovani, dediti ore e ore a contemplare e a riflettere su quel mappamondo, non avremmo mai creduto: vendita quasi totale delle partecipazioni, licenziamenti di massa, evasioni fiscali, attività di spionaggio illecite, suicidi, riciclaggio di denaro, svendita delle centrali telefoniche. Se dieci anni fa qualcuno ci avesse raccontato che quel mappamondo pieno di bandierine sarebbe stato spremuto come un pompelmo e che l’azienda sarebbe caduta sotto il dominio di Telefónica, noi ridendo avremmo esclamato: «Ma che dite? Siamo noi che stiamo andando alla conquista della Spagna!».

Queste le parole di esordio del libro “Goodbye Telecom” che affronta il passato, il presente e il futuro di Telecom Italia e che si avvale di numerose interviste a politici quali Massimo D’Alema e top manager come Franco Bernabè e Marco Patuano, ma anche di preziosi contributi da parte di ex dirigenti quali ad esempio Alessandro Fogliati che spiega in maniera chiara e l’alternativa al nocciolino duro:
“…prima della privatizzazione Adas chiese al Tesoro di far parte del gruppo di controllo che si sarebbe creato in virtù del 3,3% delle azioni già sottoscritte da 97.000 dipendenti e da acquistare attraverso un piano già stabilito. La risposta del governo fu la seguente: “pagate subito le azioni??? Altrimenti restate fuori”.
L’escamotage fu tanto furbo quanto micidiale poiché l’assemblea, cioè il “Tesoro”, nominò tempestivamente il CdA “post privatizzazione” consegnando l’azienda su di un piatto d’argento alla Fiat che possedeva solamente lo 0,6% delle azioni.
Nel ripercorrere le tappe dello “spolpamento” l’attenzione è stata focalizzata su due problematiche: la morsa del processo di indebitamento e la mala gestione operativa.

“…Una azienda pubblica che scoppia di salute viene privatizzata a tempo di record senza alcun controllo sui processi di governance. Nei cinque anni che seguono si assiste ad un incremento del debito del 600% (da 8 a 45 miliardi di euro). Qualcuno potrebbe però pensare che questo folle incremento sia servito a qualcosa, magari a costruire una nuova rete o a creare nuova occupazione. La risposta è negativa: l’azienda ha perso 70.000 posti di lavoro che si sono aggiunti al già numeroso “esercito industriale di riserva” e si ritrova la stessa infrastruttura che aveva a fine anni 90…. L’equazione Telecom = Debito = Moneta = Potere = Controllo = Schiavitù, dove quest’ultimo termine si traduce da una parte in disoccupazione e dall’altra in mancanza di sviluppo, adesso forse sembrerà più chiara…”.
Un processo che può essere spiegato in maniera ancor più semplice così: “ È un po’ come comprare un ospedale a debito e poi tagliare la corrente per pagare le rate del mutuo…”. Commenta Vito Gamberale, simbolo della Sip/Telecom degli anni 90, azienda stellare che contava più di 100.000 dipendenti in Italia e puntava tutto su investimenti e sviluppo.

A questa montagna di debiti si è aggiunto uno spreco di risorse pari a 24 miliardi di euro: Seat Pagine Gialle, Portale Globo, svendita delle centrali telefoniche, sim false, spionaggio e tante altre operazioni inutili e totalmente improduttive che hanno caratterizzato le gestioni dal 1997 al 2007. Con la gestione Colaninno i debiti sono passati da 8 a 22 miliardi (bilancio 2001) ai quali si dovrebbero aggiungere i 15 per l’Opa del 1999 (per un totale di 37 miliardi di euro), poi addebitati direttamente su Telecom in seguito alla fusione con Olivetti.

Una operazione che a suo tempo era stata bocciata dalla agenzia di rating Moody’s perché avrebbe comportato altri 9 miliardi di debiti per realizzare tutta l’operazione. Dal 2003 al 2005 la gestione Tronchetti riesce a ridurre il debito fino a 25 miliardi in seguito ad operazioni di dismissione del patrimonio immobiliare, vendita di partecipate e mancati investimenti in innovazione e sviluppo. Ma la tegola cadrà nel 2005 con l’esborso di 14-15 miliardi per l’acquisto delle azioni minoritarie di Tim. Una operazione inutile ed inefficiente, soprattutto per il sistema Paese: non era meglio investire questi soldi per la cablatura di 20 milioni di abitazioni in modalità Fttc invece che comprare le azioni di una società già controllata? Ora, discutere su chi abbia prodotto più o meno debiti o se i processi di fusone e acquisizione siano stati inevitabili, o se tutto ciò sia stata una logica conseguenza della privatizzazione, è assolutamente inutile, l’unica cosa che conta sono stati i risultati estremamente negativi che hanno caratterizzato l’equilibrio finanziario dell’azienda.

Negli anni successivi Bernabè e Patuano riusciranno nell’impresa di ridurre il debito ostacolando qualsiasi ulteriore processo di spolpamento. Ma il peccato originario della nefasta privatizzazione, l’Opa di Colannino e le successive fusioni e acquisizioni della Gestione Tronchetti, ridurranno l’azienda a un cadavere ambulante. Il tutto nel completo silenzio assenso della classe politica. Responsabile di aver ostacolato il processo di innovazione del Paese. Un processo che aveva il suo punto di inizio nel 1995 con il Progetto Socrate che avrebbe portato con 15 anni di anticipo rispetto a Germania, Francia e Spagna la fibra ottica in 20 milioni di abitazioni.
La scalata spagnola è figlia di quegli errori compiuti nel decennio 1997-2007 che hanno portato il rapporto debito/fatturato oltre il 100% con uno statuto che prevede 12 consiglieri su 15 a favore dei gruppi di controllo. Ed ora il rischio è che gli eventi si ripetano con una storia ferma, immobile, cinica e fatale.

“…La situazione assomiglia molto all’acquisto speculativo di un appartamento di pregio in cui il nuovo proprietario per fare cassa lo inizia a vendere gradualmente in parti. Si inizia con la cessione del garage, della cantina e della soffitta, compresi quadri e mobili di valore. Si passa poi alla divisione in più unità catastali affinché sul mercato possano valere di più. Nel frattempo si tagliano le spese di manutenzione e pulizia e si rimandano i lavori di ristrutturazione. E alla fine del processo, quella che poteva essere una reggia si trasforma in una baracca. Se il piano di Telefonica fosse questo, ed è difficile immaginarne un altro, il valore di borsa della nuova Telecom Italia potrebbe andare a zero, e ci sarebbero le condizioni per una nuova Opa ostile sul 100% delle azioni da parte di nuovi gruppi internazionali. In questo caso la realizzazione di una rete globale in fibra ottica rischierebbe di ritardare per altri 20 anni…”.
Posto riservato, nel palco d’onore, alle banche d’affari internazionali che in tutti questi anni hanno approfittato cogliendo il momento opportuno per realizzare affari d’oro. E pensare che Dante considerava gli usurai come una delle peggiori specie, mettendo chi crede che
“…i danari faccian frutto, li quali di sua natura in alcuno atto far non possono..” nel settimo girone dell’Inferno, proprio a due passi da Lucifero.

“…Il futuro di Telecom non è stato ancora scritto” – mi confida Franco Bernabè nel suo penultimo giorno da Presidente – “Il finale si vedrà solo fra molti anni. La storia del nostro Paese ci ha abituati da sempre ad alti e bassi con plateali colpi di scena, dunque non mi sorprenderei se l’azienda fra molti anni tornasse ad essere quella di una volta, sono nel complesso ottimista. Nel futuro la rete sarà il valore più grande. E credo che un Paese come il nostro non possa fare a meno di una rete in larga banda di nuova generazione con tutti gli applicativi annessi. Tragga lei le conclusioni da queste ultime due affermazioni su quello che dovrebbe essere il ruolo di Telecom Italia…”.

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