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Canone frequenze, con il regolamento Agcom nessun minore introito per lo Stato

Francesco Posteraro, commissario dell’authority: “Il contributo calcolato sulla base della delibera Agcom assicura a regime un introito pari a circa 56 milioni di euro all’anno”. Il decreto legge n. 16 del 2012 prevede però che l’applicazione del nuovo sistema debba avvenire in modo progressivo. Spetta al governo decidere sull’applicazione progressiva

Pubblicato il 19 Dic 2014

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Le recenti vicende dell’emendamento del Governo sul contributo per l’utilizzo delle frequenze televisive hanno richiamato l’attenzione sulla delibera adottata al riguardo dall’Agcom il 30 settembre scorso. Non mi permetto, ovviamente, di esprimere opinioni sulle scelte di competenza dei supremi organi costituzionali, titolari della funzione legislativa e di quella di indirizzo politico. Ritengo soltanto che possa essere utile precisare i reali contenuti della delibera dell’Agcom, sui quali mi sembra non sia stata fatta sufficiente chiarezza in alcuni commenti che ho avuto occasione di leggere.

In primo luogo, è necessario tener presente che non è l’Agcom, diversamente da quanto è stato scritto, ad aver spostato il baricentro dalle emittenti agli operatori di rete. Si tratta invece di una conseguenza del passaggio al digitale e del rispetto dei principi della normativa europea. Il contributo è a carico degli operatori di rete, e non più delle emittenti, perché da quando è avvenuta la transizione al digitale sono gli operatori di rete, e non più le emittenti, i soggetti giuridici titolari dei diritti d’uso delle frequenze. Il contributo per l’uso di un bene non può che gravare su chi quel bene ha in uso: una verità elementare, che tuttavia continua, stranamente, a essere non di rado ignorata. Quanto alla distinzione fra operatori verticalmente integrati e operatori che tali non sono, di essa non v’è traccia nel decreto legge n. 16 del 2012, ossia nel testo legislativo cui la delibera dell’Agcom è chiamata a dare attuazione.

Si è poi parlato dell’obiettivo dell’invarianza di gettito rispetto al vecchio canone versato dalle emittenti e si è assunto come parametro l’importo di circa 50 milioni di euro, incassato dall’erario nel 2011. Prescindendo dalla difficoltà di riferirsi a un elemento per sua natura variabile quale un canone commisurato al fatturato delle emittenti, il contributo calcolato sulla base della delibera Agcom assicura comunque a regime un introito pari a circa 56 milioni di euro all’anno. Il decreto legge n. 16 del 2012 prevede però che l’applicazione del nuovo sistema debba avvenire in modo progressivo.

L’Agcom, di conseguenza, ha doverosamente prospettato anche un’ipotesi di applicazione graduale del contributo; ma ha espressamente rimesso al Governo ogni valutazione circa le modalità con le quali conciliare i due principi – invarianza di gettito e applicazione progressiva. Il Governo, a cui spetta adottare il decreto per la definitiva fissazione del contributo, può pertanto scegliere se privilegiare l’uno o l’altro principio, e in quale misura, senza che da questo punto di vista il provvedimento dell’Autorità rappresenti in alcun modo un vincolo. E’ dunque un fuor d’opera anche solo profilare, con riferimento alla delibera Agcom, fantasiose ipotesi di danno erariale.

Si è sostenuto, infine, che la delibera rischierebbe di accollare oneri eccessivi agli operatori locali. Basta far presente che l’Agcom ha previsto, per questi operatori, uno sconto pari almeno al 70 per cento. Il che significa che il Governo, nel decreto di cui s’è appena parlato, può portare lo sconto anche a livelli superiori, spingendolo fino al limite che ritenga adeguato per salvaguardare l’emittenza locale.

Spero si voglia tener conto, nel dibattito in corso, di questi pochi ma essenziali dati di fatto, evitando di travisare la portata di una delibera che si è limitata a dare puntuale e rigorosa attuazione al diritto vigente, nazionale ed europeo.

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