IL CASO

Canone frequenze, Padoan vuole vederci chiaro

L’emendamento presentato dal governo sotto la lente del ministero dell’Economia e delle Finanze. In ballo la sostenibilità finanziaria del provvedimento e la messa in standby del regolamento Agcom. In vista un ulteriore sconto agli operatori di rete?

Pubblicato il 17 Dic 2014

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Sono due i nodi da sciogliere nel percorso che porterà il Governo a licenziare le norme sul canone sulle frequenze radiotelevisive per il 2014. Il primo è sul “chi” sarà chiamato a pagare per la concessione delle frequenze, e il secondo sul “se” sia possibile per i ministeri competenti, Mise e Mef, scavalcare con una norma di legge quanto stabilito da Agcom nel regolamento approvato dal Consiglio dell’Authority il 30 settembre. Caso sul quale è al lavoro l’ufficio legale del Mef, con il mandato di mettere a punto un testo che non sia impugnabile.

I nodi emergono dall’emendamento presentato dal governo in Senato alla Legge di Stabilità. Una bozza del testo, che CorCom ha potuto consultare – dal Mise la definiscono però “non definitiva” – è già stata depositata il 12 dicembre. Recita che “gli operatori di rete sono tenuti al pagamento di un contributo annuale, determinato in via transitoria dal ministero dello Sviluppo economico di concerto con il ministero dell’Economia e delle Finanze, secondo i parametri del regime di contribuzione di cui all’art.27, comma 9, della legge del 23 dicembre 1999 n°488”. Il testo dunque prevede un ulteriore cambio di rotta nei criteri di pagamento di canoni allo Stato da parte delle Tv: non più l’1% del fatturato (il regime imposto dalla 488) delle “aziende radiotv” com’è stato fino ad oggi, ma l’1% del fatturato degli operatori di rete. La base imponibile rischia di essere molto ridotta. Con la conseguenza che ci saranno da verificare le conseguenze della decisione sugli introiti che ne conseguiranno, dal momento che l’emendamento sottolinea l’intenzione del Governo di “assicurare l’assenza di nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”, come tra l’altro stabilito dal decreto legge del 2 marzo 2012, numero 16.

Intanto il tempo stringe, perché in ballo ci sono i contributi da versare per il 2014: l’emendamento stabilisce come scadenza il 15 gennaio 2015, applicando agli operatori (ma in questo caso non viene specificato “di rete”) “il medesimo regime di contribuzione stabilito in via transitoria dell’autorità per le garanzie nelle comunicazioni per l’anno 2013 con la delibera 568/13/Cons del 15 ottobre 2013”, quella che cioè prorogava ancora di un anno le vecchie regole in attesa che venisse varato dall’Authority il nuovo regolamento.

Il nuovo regolamento Agcom, che il Governo metterebbe in questo modo “in stand by” in attesa di intervenire in modo più organico sull’intero settore, come più volte annunciato dal sottosegretario alle Comunicazioni Antonello Giacomelli, nasce dopo la legge varata a marzo 2012, che dava all’authority il compito di stabilire criteri ad hoc di tarrifazione per l’uso delle frequenze, come conseguenza del passaggio dall’analogico al digitale terrestre. Il tutto “nel rispetto della clausola di invarianza finanziaria”. Il regolamento approvato da Agcom a settembre prevedeva di spostare il baricentro dal fatturato delle emittenti al valore delle frequenze utilizzate, e quindi dalle imprese editoriali a quelle tecnologiche (gli operatori di rete) che detengono i diritti d’uso delle frequenze. Ma, si legge nella relazione tecnica all’emendamento del governo, “l’applicazione progressiva del nuovo sistema di contribuzione determinerebbe per i pirmi otto anni e sino alla sua applicazione a regime una riduzione significativa di gettito per l’erario rispetto al 2013”. Proprio questo sarebbe il motivo che avrebbe spinto il Governo a intervenire, con una misura che però per il momento non appare chiara nei suoi effetti e nelle modalità di applicazione.

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