CHE BROADBAND FA. Con l’asta 4G più lontani dall’Agenda digitale

Mentre crolla il sistema economico occidentale gli operatori italiani vengono “tassati” con 4 miliardi per le frequenze e altrettante risorse serviranno per fare le nuove reti. Il tutto mentre si chiede di investire nelle reti fisse. Confidiamo almeno nelle regole affinché l’impasse si sblocchi

Pubblicato il 14 Nov 2011

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Mentre crolla il sistema economico occidentale, gli operatori
italiani vengono tassati con 4 miliardi di euro per utilizzare le
frequenze 4G, ai quali si aggiungono altrettante risorse per la
costruzione delle reti mobili di nuova generazione, alla ricerca di
un mercato fatto di luci ed ombre, in un settore che continua a
presentare un calo dei prezzi dei propri servizi. Per una
coincidenza, la cifra in gioco si avvicina poi molto agli
investimenti ipotizzati dal Tavolo Romani per la realizzazione
della rete a banda ultra larga fissa che doveva raggiungere il 50%
della popolazione.

Tutto questo mentre da più parti ci viene ricordato che il futuro
dello sviluppo delle economie avanzate risiede nell’economia
digitale e che questa si fonda su reti ultra veloci. Quanto basta
per lasciare spaesati gli esperti, figuriamoci il “consumatore
finale”. In sintesi, si è intervenuti per decreto nella
determinazione delle priorità di investimento degli operatori,
imponendo una redistribuzione degli investimenti verso le reti Lte,
panacea per portare la banda larga nelle aree remote e abilitatore
di nuovi servizi in mobilità, ma non solo.

In un contesto di risorse sempre più scarse, questo è un
ulteriore stimolo alla strategia dei piccoli passi per la
realizzazione delle reti di nuova generazione fisse e al definitivo
allontanamento dell’obiettivo 2020 dell’agenda digitale
europea. L’augurio è che si cerchi perlomeno di creare le
condizioni di sistema (regolamentari e amministrative), affinché
qualche cosa possa accadere concretamente.

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