Dallocchio: “Governance Telecom esempio da seguire in Italia”

L’unità di vedute di voto rappresenta una svolta, sottolinea il docente della Bocconi. “Ma è solo la punta dell’iceberg di una visione a monte su un progetto industriale su cui convergono tutti gli stakeholder”

Pubblicato il 06 Mar 2014

Giovanni Iozzia

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Pubblichiamo una serie di opinioni sul tema della governance di Telecom Italia in questo momento al centro del dibattito fra azionisti, organi sociali, stakeholders.

Un cambiamento radicale. Non ha dubbi Maurizio Dallocchio, che insegna Finanza aziendale alla Bocconi e conosce bene tradizioni e abitudini delle società italiane. Quello che sta succedendo in Telecom Italia è una svolta, non solo per i cambiamenti nella governance. E dovrebbe diventare un buon esempio, per piccole e grandi aziende.

Professore, perché è un cambiamento radicale?

Per la prima volta ci sono tre attori che hanno votato all’unanimità e il mercato italiano e anche internazionale dovrebbe ringraziarli. C’è il “catalizzatore” e il vero motore dell’iniziativa, l’amministratore delegato che ha stimolato il cambiamento Marco Patuano; c’è il propositore, Marco Fossati di Findim; e c’è infine un gruppo di comando che accetta un ridimensionamento dando un esempio a tutto il sistema, cioè Telco. Questo scenario è una grande novità e va guardato con attenzione.

Che cosa l’ha sopresa?

L’unità di voto e di vedute. Ed è un fatto che va ben oltre le questioni di governance. A monte c’è una visione finalmente unitaria su un progetto di gestione industriale da lasciare a chi è capace e competente, senza influenze condizionate da valenze esterne. Altre importanti società quotate (e non) non hanno una visione cosi forte e coesa tale da potersi permettere una governance davvero efficace. E che bello sarebbe se una tale condivisione di obiettivi fosse fatta propria anche dalle piccole e medie imprese.

In che senso?

Quello che sta accadendo in Telecom è un esempio da seguire non solo per quello che riguarda la governance, che alla fine è solo la punta di un iceberg. Ci sono aspetti più importanti e assai più visibili a livello esterno, come le scelte strategiche industriali. Sopra a tutto c’è una visione di azionisti che puntano giustamente alla creazione di valore per tutti i portatori di interessi e finalmente non a difesa di privilegi particolari. In questo senso anche piccole e medie aziende dovrebbe impegnarsi a raggiungere convergenze, all’interno di una visione comune, che potrebbero permettere di affrontare investimenti, per esempio nella ricerca o nei processi di internazionalizzazione, che nello stato in cui si trovano non sono in grado di sostenere per via delle dimensioni troppo contenute.

Ma le pmi non sono parte di una compagine societaria. Come potrebbero mutuare il modello Telecom?

Aggregandosi, rinunciando al comando frazionato (e incerto) e delegando a chi è più capace e competente la possibilità di dare un impulso vero alla crescita. Se ne avessero la capacità, maturerebbero certamente grandi vantaggi e incrementerebbero la propria competitività anche nel contesto internazionale. In Telecom per la prima volta non c’è stata Telefonica/Telco come espressione dei soci spagnoli o delle banche, con i loro interessi e visioni; non un socio con quote importanti come Findim che dice “voglio essere io a dettare le regole”. È davvero formidabile che tutti insieme decidano di scegliere un management capace e una struttura di governo con un mix di competenze radicate e li lascino lavorare. Questo è stato l’urlo (fortunatamente ascoltato) dell’amministratore delegato Patuano. Potrebbero ripeterlo anche le piccole e medie imprese decidendo di fondersi, o di comprare, o vendere, ricercando una visione industriale e strategica chiara e condivisa e mirando allo sviluppo.

Quanto sarà importante la scelta dei consiglieri indipendenti?

Io credo che la scelta non debba essere fatta con spirito “talebano”. Indipendenza non può significare incompetenza. E se si scelgono amministratori che non hanno mai avuto rapporti con la società, o con i competitori, che non sono legati alle banche o al sistema finanziario, il rischio è che non abbiano le necessarie competenze. Certo devono essere persone non condizionate nel giudizio da qualsivoglia precondizione o pregiudizio, ma se vuoi i numeri uno di un settore non puoi scegliere fra gli absolute beginners. Indipendenti sì, quindi, ma cum grano salis. E soprattutto con il giusto mix di esperienze e competenze.

GLI ALTRI CONTRIBUTI AL DIBATTITO

Francesco Maria Aleandri

Carlo Alberto Carnevale Maffè

Giulio Sapelli

Alberto Toffoletto

Ferdinando Pennarola

Luca Arnaboldi

Umberto Bertelè

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