Agenda digitale

Digital divide, Catricalà: “Pmi colgano chance investimenti”

La bozza di Collegato alla legge di Stabilità prevede contributi per le piccole aziende che operano nel settore Tlc. Incentivi dedicati alle aree a fallimento di mercato. “Le imprese ne approfittino: attività Isp può diventare remunerativa”. Avenia (Asstel): “Per abbattere broadband gap servono programmi ambiziosi”

Pubblicato il 18 Nov 2013

A.S.

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“Il digital divide italiano, al 30 giugno 2013, è stimato essere pari al 4%, circa 2,370 milioni di cittadini. Un valore ancora alto che sarà azzerato nei prossimi 12 mesi”. Lo afferma, intervistato dall’Agi, Antonio Catricalà, viceministro allo Sviluppo economico, che spiega questo risultato con il Piano nazionale Banda larga, che l’Italia ha varato per raggiungere i risultati fissati dall’Agenda digitale europea. “Si ricorda – afferma il viceministro – che erano circa 4,7 milioni i cittadini esclusi dalla banda larga a fine 2010, pari al 7,8% della popolazione residente, e che all’avvio del Piano Nazionale Banda Larga, a fine 2008, erano ben 8,5 milioni gli italiani che non potevano usufruire di una infrastruttura di telecomunicazioni che garantisse loro di navigare su internet ad almeno 2 mbps. Le aree in digital divide sono le aree a fallimento di mercato, ovvero in cui il mercato non ha interesse ad investire, poiché economicamente non vantaggioso. Il pubblico quindi deve agire, e sta agendo, in modo sussidiario al mercato”.

“Per favorire la completa digitalizzazione del Paese siamo partiti dalle infrastrutture abilitanti, e stiamo completando il Piano Nazionale Banda Larga: una best practice europea – continua Catricalà – Il Piano ammonta a circa 1 miliardo di euro, finanziato con risorse nazionali, regionali e comunitarie, per portare la connettività a 8,5 milioni di cittadini che, a inizio piano, risiedevano in aree a fallimento di mercato, ovvero in cui gli operatori di telecomunicazioni non hanno convenienza a investire senza il sostegno pubblico”.

“Operiamo nella massima trasparenza – spiega – pertanto nel sito di Infratel Italia, la nostra società in-house, sono visibili le opere realizzate e i cantieri attualmente aperti”. Ma non sempre disporre delle infrastrutture è sufficiente: “Il digital divide culturale riguarda quasi la metà della popolazione italiana – continua Catricalà – Il Governo, si è quindi impegnato per incentivare cittadini e soprattutto le imprese ad utilizzare le Ict, nella convinzione che siano elementi fondamentali per competere a livello internazionale. Abbiamo fatto piccole ma importanti azioni. Ad esempio, siamo riusciti ad inserire – nella bozza di Collegato alla Legge di stabilità – la modifica dell’allegato 10 del Codice delle comunicazioni elettroniche aggiungendo una nuova fascia di contributi amministrativi concretamente pensati per l’accelerazione dello sviluppo delle Pmi nel settore Tlc.

Tale fascia contributiva ha un duplice vantaggio: consente da un lato un maggiore incasso da parte dello Stato derivante dall’incentivo all’ingresso di nuovi soggetti nel mercato, e dall’altro consente di incoraggiare la digitalizzazione delle zone a fallimento di mercato, consentendo anche a piccole e micro imprese di valutare remunerativa l’attività di Internet Service Provider”. Grazie a questa scelta, spiega Catricalà, “Nuovi soggetti, soprattutto di piccola o piccolissima dimensione non troveranno più, negli attuali contributi amministrativi, un disincentivo a entrare sul mercato ma saranno incoraggiati a fornire servizi innovativi anche nelle zone a cosiddetto fallimento di mercato, dove micro e piccole imprese possono effettivamente svolgere attività di Isp con bassissimi investimenti. E’ un intervento cui tengo molto, perché il mercato può fallire. I diritti no”.

Sullo stesso tema è intervenuto anche Cesare Avenia, presidente di Assotelecomunicazioni: “Oggi – afferma – il 97% della popolazione è coperto da internet almeno a due mega mentre il 99,87% è raggiunto dalla rete mobile 2G con 45mila stazioni di radio base, e la 3G copre il 95,39% della popolazione con 60mila stazioni. Certo, si devono fare programmi più ambiziosi, senza aspettare per forza di essere incalzati dalle politiche europee”.

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