Il Digital Networks Act (Dna), proposto dalla Commissione europea, rappresenta una delle più pericolose controriforme del settore digitale degli ultimi trent’anni. Presentato come un tentativo di modernizzazione, il Dna cela in realtà una volontà politica precisa: smantellare il modello pluralista e competitivo di Internet in Europa per concentrare il mercato nelle mani di pochi operatori pan-europei, controllati dai soliti fondi d’investimento.
Si tratta di un cambio di paradigma, mascherato da riforma tecnica, che punta a ribaltare il principio di regolazione asimmetrica su cui si è fondata la liberalizzazione delle telecomunicazioni europee. Il rischio? Avere tre o quattro soggetti dominanti, connessi a interessi finanziari globali, a cui i governi stessi dovranno rivolgersi per funzioni basilari come la sicurezza nazionale o l’intercettazione giudiziaria. E per i cittadini, dopo energia, carburante e generi primari, toccherà anche subire rincari su SIM e connettività.
Il Dna non è più nemmeno la proposta che fu: nato per introdurre una forma di contributo economico da parte delle grandi piattaforme Ott (la cosiddetta “fair share”), ha cambiato pelle. Oggi si inserisce in un puzzle più ampio: la revisione dell’Eecc, il Gigabit Infrastructure Act e un’interpretazione regressiva dei cosiddetti “report” Letta e Draghi. Un mosaico normativo che punta alla centralizzazione infrastrutturale e allo svuotamento di competenze nazionali e locali.
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L’iniziativa di Aiip
Contro questo disegno, l’Associazione Italiana Internet Provider (Aiip) ha guidato una mobilitazione inedita. In poche settimane abbiamo coinvolto centinaia di operatori e associazioni in tutta Europa, pubblicato analisi e proposte, costruito una rete trasversale di alleanze. Il sito tematico www.stopdna.eu è diventato il punto di riferimento della resistenza al Dna. Il risultato? Una delle bocciature più nette mai registrate per una proposta della Commissione.
Il parere del Berec
A certificare il rigetto è arrivato anche il parere del Berec, l’organismo che riunisce tutte le Autorità di regolazione europee, che ha di fatto demolito l’impianto concettuale del Dna. Nessuna evidenza economica per il “fair share”, rischio di danni permanenti al modello concorrenziale, assenza di metriche e impatto incerto: una sonora bocciatura. Il Berec ha inoltre sottolineato come i problemi degli operatori non si risolvano centralizzando, ma intervenendo su fiscalità, frammentazione normativa e barriere all’investimento.
Persino sullo switch-off del rame, tema sensibile anche in Italia, il Berec ha indicato un approccio graduale, senza date tassative. basato sulle reali condizioni dei territori e supportato da incentivi come i voucher connettività. Una posizione di buonsenso che conferma la necessità di governare i cambiamenti, non di imporli per decreto.
In questo contesto, l’Italia ha giocato un ruolo di primo piano. Non è un caso: il nostro Paese vanta una rete di operatori infrastrutturati alternativa, capillare, resiliente. La famosa duplicazione infrastrutturale, da sempre considerata un’anomalia da eliminare, si rivela oggi un pilastro di autonomia digitale. Ed è proprio questa autonomia che il Dna mette a rischio.
La difesa di un open Internet
Nel trentennale dalla sua fondazione, Aiip ha dimostrato di essere ancora una volta il perno della difesa dell’Internet aperta, decentralizzata e competitiva. Non si tratta di nostalgia: si tratta di futuro. Un futuro che non può essere appaltato ai fondi speculativi o alla miopia tecnocratica. Serve una rete europea fatta di pluralismo, innovazione, libertà. E questa rete esiste già: basta non distruggerla.