Il Digital Networks Act (Dna) è il nuovo terreno di confronto della politica industriale europea. La proposta di regolamento, attesa per fine anno e presentata come la grande riforma capace di rilanciare gli investimenti nelle reti e rafforzare la competitività delle telecomunicazioni, si è trasformata in un crocevia di visioni contrapposte. Da un lato le grandi telco, che intravedono l’opportunità di uscire dalla frammentazione regolatoria e trovare finalmente la scala necessaria per competere con i colossi globali. Dall’altro i regolatori, le associazioni dei piccoli operatori e diversi osservatori, che temono un ridimensionamento delle regole di concorrenza costruite negli ultimi vent’anni e un rischio concreto per l’apertura e la neutralità di Internet.
Il dibattito, acceso durante il mese di luglio 2025, mostra quanto il Dna sia molto più di un semplice intervento normativo: è anche lo specchio delle tensioni che attraversano l’Europa digitale, chiamata a decidere se privilegiare la logica dell’investimento e della scala oppure quella della concorrenza e della pluralità di attori.
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La ricetta delle telco: deregulation, armonizzazione e mercato unico
Connect Europe, l’associazione che riunisce i vertici delle principali telco del continente. La loro posizione è chiara: per garantire all’Europa un futuro digitale all’altezza delle sfide globali serve una svolta radicale. Le richieste vanno dalla deregulation con il passaggio da un regime ex-ante a uno ex-post, fino all’armonizzazione delle regole di spettro e alla creazione di un vero mercato unico delle telecomunicazioni.
Nella loro visione, l’ex-ante, che ha rappresentato la bussola regolatoria degli ultimi due decenni, può essere mantenuto soltanto come “rete di sicurezza” in presenza di colli di bottiglia locali. Per il resto, è necessario affidarsi a un sistema ex-post che garantisca certezza agli investitori e consenta agli operatori di raggiungere dimensioni adeguate. La riforma viene vista come indispensabile per superare la frammentazione nazionale che frena la crescita, uniformando le regole e semplificando gli oneri burocratici.
Il documento di Connect Europe va oltre la regolazione dell’accesso. Chiede licenze di spettro più lunghe e rinnovabili, capaci di garantire stabilità alle strategie industriali di lungo termine. Invoca un aggiornamento della normativa sulla neutralità della rete, ritenuta ormai inadatta a sostenere use case come il network slicing nel 5G. E rilancia il principio “stessi servizi, stesse regole”, una formula che punta a riequilibrare il rapporto con le big tech, accusate di trarre vantaggio da una cornice normativa meno stringente.
L’appello dei ceo: seguire Draghi e Letta per competere con gli Ott
Il coro delle grandi telco europee si è rafforzato con un appello diretto dei ceo alla Commissione europea. Nella lettera, firmata anche da manager italiani come Pietro Labriola e Massimo Sarmi, la richiesta è inequivocabile: riforme subito, senza ulteriori rinvii. Il Dna, sostengono, deve essere la leva per creare condizioni paritarie con gli Ott, rivedere le regole sulle fusioni e consentire agli operatori di investire in modo massiccio in 5G, fibra ottica Ftth, cloud sovrano, cavi sottomarini, intelligenza artificiale e in prospettiva 6G.
Il riferimento esplicito è ai report Draghi e Letta, che nei mesi scorsi hanno sollecitato l’Europa a liberare il potenziale della digitalizzazione e a non restare indietro nella corsa globale. L’idea è che senza un cambio di passo normativo il mercato europeo delle Tlc resterà un mosaico di attori troppo piccoli e regolati in modo rigido, incapaci di competere con Stati Uniti e Asia.
Le voci critiche: rischio per internet aperta e pluralismo
Ma accanto all’entusiasmo delle grandi telco, emergono con forza le preoccupazioni di chi teme che il Dna finisca per indebolire le fondamenta del modello europeo. Tra i più netti c’è Giovanni Zorzoni, presidente di Aiip, che ha parlato di un disegno che rischia di “soffocare Internet”. La critica riguarda l’effetto di concentrazione del mercato che la riforma potrebbe generare, riducendo lo spazio per i piccoli operatori, limitando il pluralismo e aprendo la strada a pochi grandi attori paneuropei.
Lo stesso allarme arriva dal Berec, il board dei regolatori europei, che ha preso una posizione inequivocabile contro le spinte al consolidamento e contro l’ipotesi di introdurre il cosiddetto “fair share”, ossia un contributo obbligatorio delle piattaforme digitali al finanziamento delle reti. Secondo i regolatori, queste misure non solo altererebbero la concorrenza, ma rischierebbero di tradursi in peggioramento della qualità dei servizi e in un aumento dei prezzi per consumatori e imprese. La ricetta per favorire l’innovazione, ribadisce il Berec, resta quella della competizione aperta e non della concentrazione.
Il nodo ex-ante: tra continuità e rottura
Uno dei punti più controversi è proprio la regolazione ex-ante. Qui le posizioni si dividono nettamente. Se Connect Europe chiede di ridimensionarla in favore di un modello ex-post più flessibile, Ecta, l’associazione europea degli operatori alternativi, mette in guardia contro una scelta che potrebbe avere effetti devastanti. Il declassamento del regime ex-ante Smp, spiega, smantellerebbe l’equilibrio che negli anni ha permesso lo sviluppo della concorrenza e dei progressi tecnologici in ambiti come il cloud, l’edge e l’intelligenza artificiale.
A difendere la stessa linea è Agcom, che nella sua risposta alla consultazione ha sottolineato come l’attuale quadro regolatorio abbia garantito l’apertura del mercato e favorito la diffusione delle reti a banda ultra-larga (Vhcn). Abbandonare l’ex-ante, secondo l’Autorità, significherebbe rinunciare a uno strumento che ha portato benefici tangibili agli utenti e creato un contesto competitivo vitale.
La voce dei piccoli operatori: garantire l’accesso wholesale
In questo scenario, i piccoli operatori chiedono di non essere dimenticati. Assoprovider ha espresso un sostegno “con riserva” al Dna, ma ha ribadito che la riforma non deve eliminare l’accesso wholesale. Senza questa possibilità, gli operatori di dimensioni ridotte sarebbero destinati a soccombere, con il risultato di una drastica riduzione della pluralità dell’offerta.
Anche le telco italiane hanno fatto sentire con forza la propria voce all’interno della consultazione sul Dna. Wind Tre, Iliad, Open Fiber e FiberCop (tra le altre) hanno presentato un pacchetto di proposte che si muove lungo alcune direttrici comuni: maggiore armonizzazione delle regole a livello europeo, garanzie di accesso equo alle reti, utilizzo più efficiente dello spettro radio e soprattutto una cornice di stabilità normativa che consenta di pianificare investimenti di lungo periodo.
Allo stesso tempo, gli operatori hanno sottolineato come il nuovo quadro regolatorio non possa essere concepito come un modello unico valido per tutti i Paesi. Le società hanno ricordato che il mercato italiano presenta caratteristiche peculiari: dalla forte presenza di operatori alternativi, alla necessità di sostenere la migrazione completa verso le reti in fibra, fino alla gestione di un parco di infrastrutture ancora eterogeneo. In altre parole, la sfida del Dna sarà quella di conciliare l’obiettivo di un mercato unico europeo con la salvaguardia delle esigenze locali, evitando soluzioni “taglia unica” che rischierebbero di penalizzare un ecosistema in cui l’Italia gioca un ruolo cruciale per la connettività mediterranea.
Governance e implementazione: la vera sfida
Un altro nodo cruciale riguarda la governance. Come ha sottolineato Davide Di Labio di Kpmg, non basta definire gli obiettivi e gli strumenti: occorre garantire una gestione efficace delle risorse, dei fondi e dei criteri tecnici. Senza un modello di governance chiaro e condiviso, il Dna rischia di complicare ulteriormente un sistema già frammentato, aggiungendo complessità invece di ridurla. È qui che si giocherà gran parte del successo o del fallimento della riforma: non soltanto nel “cosa” prevede, ma soprattutto nel “come” verrà attuata.
Un equilibrio difficile da trovare
Il Dna si presenta quindi come una riforma necessaria ma controversa. Da un lato, raccoglie il consenso sul bisogno di semplificazione, armonizzazione e stabilità normativa, condizioni indispensabili per attrarre nuovi investimenti nelle reti. Dall’altro, divide profondamente su questioni centrali come l’ex-ante, il consolidamento del mercato, il fair share e la tutela dei piccoli operatori.
Il prossimo passo sarà capire se il testo finale riuscirà a bilanciare queste esigenze. L’Europa si trova davanti a una scelta strategica: favorire la scala e gli investimenti, o preservare la concorrenza e il pluralismo. Qualunque direzione venga imboccata, determinerà non solo il futuro delle telecomunicazioni, ma anche l’assetto complessivo del mercato digitale europeo e la capacità del continente di restare protagonista nella corsa globale alla connettività.