GLI INTERVENTI

Dossier Tim: Bernabè e Gamberale divisi sullo scorporo della rete

I due ex amministratori delegati della telco commentano l’evoluzione in atto. Il rafforzamento del peso dello Stato nella società considerato da entrambi auspicabile ma sulla separazione degli asset le posizioni divergono. L’offerta Cdp-Macquarie sul tavolo del cda il 15 marzo

Pubblicato il 13 Mar 2023

tim

Separare o non separare la rete dai servizi? E quale deve essere il ruolo dello Stato nella partita Tim? Bisogna rinazionalizzare o è sufficiente una governance forte? Sul “dossier Tim” intervengono gli ex amministratori delegati dell’azienda Franco Bernabè e Vito Gamberale, due nomi forti nella storia dell’azienda.

Bernabè: “Separazione della rete inevitabile”

“Mi sembra che arrivi a compimento un processo che probabilmente andava fatto tanti anni prima”. Ha dichiarato Bernabè all’Adn Kronos riferendosi al piano che prevede la separazione di reti e servizi ossia della creazione delle due newco NetCo e ServCo. E il manager, oggi alla presidenza di Acciaierie d’Italia, considera inevitabile il ritorno dell’azienda nell’orbita pubblica. “Al punto in cui siamo è inevitabile, più che auspicabile. Inevitabile perché due reti in competizione non sopravvivono”. Le due società protagoniste del progetto di rete nazionale – Tim e Open Fiber – secondo Bernabè hanno entrambe bisogno di unire le forze. “Bisogna ridare spazio finanziario e di crescita alla rete oggi. Non si possono duplicare gli investimenti”. E ricorda di essere stato il primo a ipotizzare una separazione della rete dai servizi “con la creazione di Open Access, che era l’isolamento della rete all’interno di Tim: poi avevo previsto di fare la società”.

Gamberale: “Con lo scorporo l’azienda sarà fatta a fette”

Sullo scorporo non concorda l’ex Ad Vito Gamberale: “Lo scorporo significa fare a fette l’incumbent italiano e vendere gli asset. Questa realizzazione della Rete è stata propagandata come un atto fideistico, all’insegna del creiamo valore per gli azionisti più che posta come una scelta dal punto di vista industriale. La separazione è vista come una operazione che tende a separare il cervello, ossia la rete, dal servizio. Ma la rete scissa dai servizi è come togliere il cervello a un corpo. E poi la separazione della rete darebbe grossi problemi di efficacia del servizio anche agli altri numerosi operatori presenti in Italia, non solo a Tim”, ha spiegato Gamberale a La Presse. Gamberale evidenzia inoltre come l’Italia sia l’unico Paese Europa “che nell’azionariato del proprio incumbent non ha una presenza attiva pubblica. In Francia lo Stato oggi in Orange è presente al 30% direttamente. Altrettanto avviene in Germania e anche in Spagna, attraverso le istituzioni finanziarie locali, a carattere Istituzionale. La separazione della rete e la vendita è una cosa che è stata fatta in Islanda e Danimarca, Paesi con una superficie e una popolazione ridotta, ma non è stata mai in discussione in nessun grande Stato”. E aggiunge che “fino a oggi nelle telecomunicazioni nei vari Paesi c’è un incumbent integrato, che mantiene cioè la proprietà della rete per le telecomunicazioni”.

Il Governo Meloni potrebbe mettere fine a una vicenda lunga 20 anni

E sul ruolo del Governo sostiene che “dovrebbe avere il coraggio e l’orgoglio di porre termine a questa odissea societaria, recuperando il controllo dell’incumbent facendo un’opera di riassetto. La rete ha già una separazione funzionale con un conto economico apposito. Questo governo ha di fronte uno snodo: recuperare tutto ciò che non è stato fatto in oltre 20 anni oppure permettere un assalto definitivo, perdendo una presenza organica nelle tlc, come avvenuto nell’ elettronica, nel nucleare, nella siderurgia e in altri settori, dove servirebbe invece una visione dello Stato che ne contempli una sua presenza importante nelle grandi aziende strategiche, come è per Eni, Enel, Leonardo”.

L’offerta Cdp-Macquarie sul tavolo del cda del 15 marzo

Si riunisce cda mercoledì 15 marzo il cda di Tim chiamato a una prima disamina dell’offerta non vincolante da circa 18 miliardi presentata da Cdp e Macquarie – valida fino al 31 marzo – alternativa a quella di Kkr da 20 miliardi che resterà valida fino al 24 marzo a anche se il borad l’ha già valutata “insoddisfacente” riguardo alla valorizzazione degli asset di rete. E Vivendi si è già esposta anche su quella di Cdp-Macquaire nella stessa direzione.

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