Nelle scorse settimane il ministro Dario Franceschini ha firmato il decreto con cui ha aggiornato le tariffe per il cosiddetto equo compenso per copia privata, l’indennizzo – raccolto mediante prelievo forzoso – dovuto ai titolari dei diritti d’autore a fronte della facoltà per tutti gli utilizzatori di fare una “copia privata” della musica e dei film, legittimamente acquistati.
5,20 euro per un Pc e 5,20 per uno smartphone o un tablet se dotati di capacità di memoria superiore a 32 giga. 4 euro, invece, per televisori dotati di capacità di registrazione. Fino a 20 euro per un hard disk e fino 9 per una pendrive Usb. Confindustria Digitale stima il gettito complessivo che il decreto produrrà a favore dei titolari dei diritti in oltre 150 milioni di euro all’anno. Il decreto ha aperto un dibattito con pochi precedenti sull’effettiva opportunità di disporre gli aumenti in questione e sulla misura di tali aumenti.
Ma, di questo, ormai, si occuperanno i Giudici amministrativi ai quali, Altroconsumo, ha già annunciato di volersi rivolgere.C’è, invece, una questione che, negli ultimi giorni, ha tenuto banco ed è finita persino in Parlamento dove il ministro Franceschini è stato chiamato a rispondere ad un’interrogazione presentata dall’On. Lara Ricciatti (Sel): a chi toccherà pagare l’equo compenso per copia privata? Ai consumatori o all’industria di supporti e dispositivi? Il ministro, in aula, si è detto convinto che a pagare non saranno i consumatori, ma c’è più di un elemento che lascia pensare il contrario.
Tanto per cominciare non c’è nessuna norma di legge che vieti a produttori di riaddebitare l’equo compenso agli acquirenti e Elio Catania, Presidente di Confindustria Digitale, ha già anticipato che gli aumenti sono tali che l’industria non potrà non riaddebitarlo a valle. C’è poi la legge che prevede che l’equo compenso sia dovuto a fronte della possibilità per il consumatore di fare una copia privata.
Trasferire l’obbligo di pagamento dai consumatori all’industria significherebbe snaturare l’equo compenso e trasformarlo da “indennizzo” in “tassa”, espressione che però non piace a Franceschini. E c’è, infine, il precedente francese, nel quale la legge impone ai distributori di dispositivi e supporti di informare i consumatori sull’ammontare dell’equo compenso che, dunque, tocca inequivocabilmente ai consumatori pagare.