Quale sarà il ruolo dell’Europa nel mondo digitale del domani? E’ la domanda da un milione di dollari con cui si cimenta lo studio “The digital world in 2030: What place for Europe”, che sarà presentato domani a Bruxelles dalla European Internet Foundation, associazione facente capo al Parlamento europeo che riunisce oltre 40 eurodeputati di tutte le casacche politiche e 37 rappresentanti dell’industria Ict. Ajit Jaokar, docente all’Università di Oxford e coautore del rapporto, ne anticipa in un’intervista al Corriere delle Comunicazioni i risultati salienti. Non tutti impastati di pessimismo, come si potrebbe immaginare guardando alla retorica catastrofista con cui viene spesso presentato il settore europeo del digitale (e ancora di più quello delle tlc). “L’Europa può ancora contare su molti punti di forza – spiega l’esperto – ma per restare competitivi occorre più spinta sulle reti, soprattutto quelle mobili”. Le ricette per agevolare questo scenario? Maggiori sinergie tra industria e mondo politico e un ecosistema regolamentare più flessibile.
Un numero crescente di osservatori è dell’opinione che l’Europa stia perdendo sempre più terreno nella serrata competizione internazionale di cui è protagonista il settore dell’Ict. E’ d’accordo con quest’analisi a tinte fosche?
Noi riteniamo che il quadro sia più in chiaroscuro. E’ vero che al momento vi è una diffusa preoccupazione riguardo la capacità europea di competere e prosperare nel mondo digitale del domani. Tuttavia, nel rapporto indichiamo anche diversi punti di forza su cui può ancora contare il nostro continente. Solo per citarne alcuni: competenze diffuse nella progettazione e nel campo ingegneristico, eccellenza accademica, ricerca scientifica all’avanguardia, leadership globale in un ampio ventaglio settori dell’industria ad alta tecnologia e dei servizi, presenza consolidata in moltissimi mercati extra-europei.
E le principali debolezze?
Non potremo competere nel “grande gioco tecnologico globale” del futuro se non s’investirà di più in infrastrutture che assicurino un accesso a internet ubiquo e ad alta velocità. L’Europa è stata a lungo e per certi versi è ancora un leader mondiale nel segmento delle tecnologie wireless, ma non possiamo permetterci di restare indietro nella diffusione e nella copertura della banda larga mobile. E i dati dimostrano come sul versante del 4G Cina e Usa siano già davanti a noi. Inoltre, in Europa il rischio di un ampio digital divide – tra aree con infrastrutture all’avanguardia e zone con una copertura antiquata – è sempre di più dietro l’angolo. Per evitare questo scenario è necessario un ecosistema regolamentare più flessibile e una rafforzata collaborazione tra autorità pubbliche ed industria diretta a creare più incentivi a investire.
Quali sono in generale i maggiori trend globali per il 2030 che avete identificato nel rapporto?
Un trend fondamentale interessa la rapida evoluzione e convergenza delle tecnologie digitali: un processo spinto dalla disponibilità di dati in tempo reale e ovunque nel mondo che ci traghetterà in una compiuta “società della conoscenza” con un’ondata di piattaforme e altri strumenti tecnologici accessibili e disponibili a tutti. In termini economici, inoltre, siamo finalmente alle porte della terza rivoluzione industriale. E’ un’opportunità che va compresa e sfruttata, ma occorre anche affrontare le inevitabili e non minori tensioni sociali e politiche che genererà. In Europa riforme marginali e di breve gittata non sono sufficienti a farlo. Servono politiche che creino un mercato senza frizioni. Nel 2030 nessun paese o regione potrà tenere il passo in un’economia trainata dal digitale senza reti che assicurino una copertura ed una connettività realmente competitiva. Visto dalla prospettiva del 2030, gli ultimi cinque anni hanno visto l’Europa accumulare ritardi in quest’ambito, specialmente nel settore del mobile. La competitività di domani sarà in larga parte incentrata sul 5G, la prossima rivoluzione nelle tecnologie di rete. Sarà questo il focus principale, e per l’Europa in primis, nel prossimo futuro.
Quali azioni dovrà intraprendere l’industria europea per (ri)guadagnare la leadership mondiale nel campo dell’Ict?
Io vedo la soluzione soprattutto in termini di sinergie tra industria e policy-makers. La prima è un catalizzatore di innovazione, che a sua volta produce vasti di benefici socio-economici, inclusa la creazione di occupazione. L’innovazione raramente viene dai governi, ma questi ultimi possono contribuire a forgiare l’ecosistema ideale per lasciarla prosperare. In altri termini all’Europa serve una più stretta collaborazione tra industria e politica per la creazione di un clima favorevole agli investimenti e allo sviluppo di soluzioni e infrastrutture all’avanguardia.
Quali sono le ricette politiche e regolamentari più adatte a realizzare quest’obiettivo?
Il problema è che i processi politici e legislativi di oggi non riescono a tenere il passo con i cambiamenti tecnologici. Una realtà riconosciuta sia all’interno che all’esterno dei governi. Basti pensare che l’adozione di un testo legislativo europeo oscilla tra i tre e i cinque anni. Come si può dunque riconciliare due mondi, quello politico e quello digitale, che viaggiano su velocità così diverse? L’esperienza europea in termini di “coregolamentazione” e “regolazione soft” potrebbe indicare il giusto cammino da percorrere: quello di norme più leggere a prova di internet.