“Possiamo essere parte attiva del consolidamento”. Intervenendo a Telco per l’Italia, l’Amministratore delegato di Iliad Italia, Benedetto Levi, ha confermato così la disponibilità della telco a ragionare (anche in termini operativi) sulle anomalie dello scenario italiano che oggi conta 5 operatori mobili. “Cinque operatori – ha osservato Levi – costituiscono un unicum a livello mondiale. Noi abbiamo una strategia di investimento che guarda al medio e lungo termine, abbiamo una struttura azionaria molto stabile e possiamo guardare all’orizzonte del decennio”.
L’operatore francese, che è entrato sul mercato italiano nel 2018 come compensazione alla fusione tra Wind e Tre, potrebbe dunque giocare un ruolo da protagonista nel futuro del comparto: “Abbiamo – ha aggiunto Levi – una solidità finanziaria notevole, siamo il sesto gruppo in Europa e abbiamo una visione che ci permette di guardare ad operazioni di consolidamento in modo attivo e non passivo“. “La solidità per essere parte attiva a un eventuale consolidamento c’è tutta”, ha concluso.
Impatto da 10 miliardi di euro sul Pil, “ma non solo”
Iliad, intanto, guarda l’Italia “dall’alto” dei risultati messi sul piatto dallo studio realizzato con la Luiss: un impatto da 10 miliardi sul Pil e 83mila posti di lavoro creati. “Siamo entrati nel mercato a maggio 2018 con 3,8 miliardi euro di investimento, un segnale forte di quanto il sistema Paese sia ancora attrattivo – ha fatto notare Levi -. E in questi anni, il nostro impatto si è giocato anche su altri fronti, dalla connettività (con una forte spinta all’utilizzo dei servizi digitali) alla ri-creazione della fiducia utente-operatore. Tutto ciò si è tradotto nei numeri che abbiamo visto ma anche in un forte sviluppo della rete, con il 5G che oggi raggiunge oltre 3mila città”.
Digitalizzazione impossibile senza infrastrutture
Serve allora un New Deal per le telco? “Sì, senza dubbio – ha risposto Levi -, perché lo scenario macroeconomico dipende da tanti fattori, alcuni internazionali e non controllabili da noi, altri potenzialmente modellabili dalle nostre azioni. Il punto è capire cosa serve per far sì che gli operatori possano continuare a investire, ovviamente a massimo impatto. E io dico che serve diffondere un cultura istituzionale delle telecomunicazioni“.
“C’è una grande consapevolezza dell’impatto positivo della digitalizzazione e dell’innovazione – ha concluso l’ad di Iliad -, ma pochi si rendono davvero conto che senza infrastrutture questa digitalizzazione non è possibile. Il salto culturale è ampio, e implica anche una sburocratizzazione e un ripensamento delle norme, perché il settore oggi è regolato da norme che risalgono a un’epoca molto diversa dal presente”.