Ingegneri delle Tlc? Scomparsi

UNIVERSITA’ & INDUSTRIA. L’allarme del Polimi: laureati inferiori alla domanda di mercato. Un paradosso considerando che, secondo l’Istat, gli sperti di Tlc trovano lavoro rapidamente

Pubblicato il 22 Set 2009

Al Politecnico di Milano hanno guardato i numeri e non volevano
crederci. Li hanno confrontati con altri numeri, e sembrava ancora
più incredibile. Eppure, hanno dovuto arrendersi.
Gli ingegneri delle telecomunicazioni stanno scomparendo. E lo
stanno facendo nonostante le statistiche dell’Istat, che dicono
che dopo i “meccanici” sono quelli che trovano più facilmente
lavoro: dopo 3 anni, secondo le rilevazioni dell’istituto
statistico, l’88,2% dei laureati in “telecomunicazioni” è
sistemato.

Eppure… “Eppure – hanno raccontato al Corriere delle
Comunicazioni Mario Martinelli, ordinario di Comunicazioni ottiche
e direttore del CoreCom e Claudio Prati, che del corso di
Ingegneria delle Telecomunicazione è il presidente – negli ultimi
sei anni siamo calati da circa 400 matricole a 86. E se uno sente
un dato come quello dell’Istat pensa che il nostro corso di
laurea dovrebbe avere una grossa affluenza”.

Un calo che, al Politecnico, è avvenuto a fronte di una
sostanziale tenuta del numero di matricole della facoltà di
Ingegneria, mentre a contrarsi – pur se non ai livelli di
“telecomunicazioni” – è stato il settore dei corsi di laurea
che riguardano l’Ict. “E questo nonostante le richieste che ci
arrivano da fuori, dal mondo delle aziende, non stiano diminuendo –
spiegano i due professori -. Arriveremo all’imbarazzante punto in
cui, a fronte di una disoccupazione che sale, le nostre imprese
dovranno andare a importare i loro ingegneri. Perché l’industria
delle telecomunicazioni italiana è abbastanza in salute: Ericsson
Marconi e Alcatel-Lucent, solo per citarne due, continuano e
investire, ad avere bilanci positivi e in particolare hanno siglato
anche accordi di ricerca col Politecnico. Ci chiedono studenti,
stagisti, laureandi. Che ovviamente noi facciamo fatica a
trovare”.

Insomma, a un certo punto, qualcosa è andato storto e gli studenti
si sono disinnamorati di questo corso di laurea. Ovviamente, chi
nelle università ci vive, si è domandato il perché. “Abbiamo
la percezione che sia successo qualche cosa a livello
dell’informazione che arriva agli studenti e alle famiglie –
continuano Prati e Martinelli -. Le telecomunicazioni sono magari
state viste come una commodity, incolpate della bolla di Internet
del 2001, e quindi destinate a subire i contraccolpi di quella
bolla. E questa è una cosa che non è assolutamente vera: il
consumo di telecomunicazioni è quello che cresce di più, è
un’industria che sta crescendo più del 10%. In particolare, la
banda larga cresce di anno in anno a tassi elevatissimi.

Eppure gli studenti non hanno la percezione che questo settore sia
importante: lo vedono come una tecnologia ormai consolidata su cui
ci sia da fare poco e su cui non ci siano sbocchi che li
attirano”. Una circostanza che, per ammissione degli stessi
docenti, nasce anche per un problema di comunicazione, sia da parte
dell’università che dei giornali, che spesso intendono le
telecomunicazioni come un settore ristretto ai campi classici delle
reti e della telefonia mobile, “dimenticando che tutta
l’industria che usa realtà virtuali, elaborazioni di immagini
per scopi di sicurezza, telerilevamento, ricerca di anomalie per le
estrazioni minerarie” fa capo a tecnologie di
telecomunicazioni.

L’analisi del problema è dunque ancora aperta e la strada per
invertire questo trend ancora da definire. “C’è anche il
problema che fra i ragazzi e soprattutto nelle famiglie che ci
sembrano ancora determinanti nelle scelte degli studenti, c’è un
misconcetto delle possibilità legate al nome. Un nome di grande
tradizione, forse un po’ datato, che non fa percepire le strade
più innovative, come i settori ottico e fotonico, che utilizzano
tecnologie avanzatissime e che stanno preparando il futuro della
banda larga ma anche delle comunicazioni interne ai pc – continuano
Prati e Martinelli -. Il problema dell’industria italiana, o
comunque la percezione che studenti e famiglie ne hanno, è che,
dopo cinque anni di studi pesanti, a fare un lavoro tecnico magari
di livello più basso di quello che io mi aspetterei. Chi invece
sceglie la Bocconi o magari ingegneria gestionale, pensa di far
fatica ad entrare, ma di avere poi delle prospettive enormi: non
tanto di guadagno o di un lavoro, quanto prospettive di uno status
che ha maggiore rispetto. E lo status, l’apparenza, hanno un
ruolo fondamentale per l’iscrizione”. Resta solo da sperare che
non lo abbiano più delle opportunità che poi si aprono.

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