“Una strategia ambiziosa e coraggiosa di cui il Paese aveva bisogno”. Greta Nasi, direttore Area Public Management and Policy della Sda Bocconi “promuove” ddl Madia sulla riforma della PA e il Crescita digitale.
Può funzionare il combinato disposto di questi due provvedimenti per fare l’Italia digitale?
A mio avviso sì. In primo luogo perché gli obiettivi definiti dal governo Renzi – cittadinanza digitale, Ngn, Italia Login – ci mettono in linea con quanto chiesto dall’Europa e poi perché viene riconosciuto un ruolo attivo anche dei player privati.
In che senso?
Fino ad oggi, rispetto ai vari piani di e-gov, le aziende private erano relegate a un ruolo di spettatrici, in attesa che qualcosa di realizzasse o, al massimo, venivano interpellate ex ante. La strategia attuale di Palazzo Chigi, invece, riconosce loro un ruolo di primaria importanza, di collaborazione e di co-produzione. Si tratta dell’elemento più sfidante, quello sul quale si potrà valutare la validità delle riforme e che potrebbe essere la chiave di volta anche per un’apertura di credito all’Italia da parte delle multinazionali. I big player potrebbero essere incentivati ad investire nel lungo periodo nel nostro Paese e non limitarsi a spendere risorse solo per fare fatturato e margini nel breve. Con tutte le conseguenze positive sull’occupazione e sulla produttività.
Le aziende private, soprattutto le italiane, sono pronte a raccogliere la sfida?
Il Crescita digitale richiede un cambio culturale anche alle imprese, non solo al settore pubblico. Serve una maggiore consapevolezza che, se si vuole partecipare al rilancio del Paese, parte degli investimenti sarà a fondo perduto, almeno nel breve termine. Ma nel lungo ci potrebbero essere benefici sostanziali.
Da più parti arrivano critiche a una governance non in grado di sostenere la sfida del digitale. Lei che idea si è fatta?
Credo che la scelta di Antonio Samaritani alla guida di Agid sia stata più che azzeccata: è l’uomo giusto al momento giusto. Samaritani vanta una storia professionale che racconta di una conoscenza del settore privato ma anche della complessità della macchina pubblica, essendo stato al capo dell’informatica di Regione Lombardia. Ma, certo, il problema della governance non si risolve rilanciando solo Agid.
E come si risolve?
Definendo una chiara leadership della governance stessa, anche guardando e – perché no – “copiando” quanto stanno facendo all’estero. Gli Stati Uniti hanno riutilizzato un modello britannico quando hanno varato “Us Digital Service”. Si tratta di un progetto, ma anche di un modo di lavorare, che ha l’obiettivo di supportare gli enti governativi nella ricerca di soluzioni che garantiscano il dialogo tra sistemi informatici realizzati e cresciuti nel tempo, senza prevedere esigenze di condivisione delle risorse e dei dati. In quel caso l’input politico arriva direttamente dalla Casa Bianca.
Sta dicendo che in Italia la responsabilità del digitale deve essere di Palazzo Chigi?
Sto dicendo che serve una figura – o anche uno staff- di riferimento che accolga input politici chiari. Perché una strategia digitale efficace deve essere inserita all’interno di un’idea di paese, di un progetto-paese, per i quali è necessaria una guida chiara. In questa prospettiva la governance policentrica di adesso non può funzionare.
Basta una guida unica definita per realizzare l’Agenda digitale?
Ovviamente no. Serve un grande investimento in capitale umano. Anche in questo caso Us Digital Service può essere uno spunto: l’iniziativa ha infatti aperto le porte a molti talenti provienienti da aziende private; lo stesso responsabile di progetto è un ex manager di Google.
Ma la Pubblica amministrazione italiana è considerata poco attraente dai talenti…
Credo che il governo Renzi abbia la credibilità necessaria a far capire che anche nell’amministrazione pubblica ci sono occasioni di crescita professionale e di valorizzazione di competenze e skills ad alto valore aggiunto.