La scomunica dei siti social, un ghetto d’altri tempi

Umberto Eco scomunica i social media. Storicizzando astiosamente il fenomeno, appare vessillifero d’una tesi reazionaria aleggiante fra la rivoluzione industriale e la prima Guerra mondiale

Pubblicato il 19 Giu 2015

Non fosse per Ansa parrebbe una cyber bufala. Umberto Eco scomunica i social media: “Danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli”. Tempo addietro, Antonio Ricci fu più caustico: “Fa diventare ciechi. Internet è una gigantesca pippa di massa, un onanismo transcontinentale”, spargendo tuttavia ironia, invece assente in Eco, il quale, storicizzando astiosamente il fenomeno, appare vessillifero d’una tesi reazionaria, aleggiante fra la rivoluzione industriale e la prima guerra mondiale: “I signori parlino, i cafoni tacciano”.

Chi può ricordare converrà che, non il bar dello sport, ma il “Circolo” ospitò i futili conversari della classe dominante. Per i rimanenti vi fu l’osteria e le sue sbronze, con frustrazioni da sbollirsi in camera di sicurezza coi carabinieri o a casa, con una dormita o picchiando l’incolpevole compagna. La necessità d’altri modi di comunicare fu testimoniata dalle Camere del Lavoro, dalle Case del Fascio o dagli oratori, con dialettiche note, ben prima del bar dello sport. Ricci appare più vero di Eco. Si direbbe, a sentire Eco, che la classe dominante ghettizzi il web come un tempo l’osteria: ti inebri nel social network, discuti virtualmente, lasciando nel limbo dell’irrisolto montagne di problemi. Prima o poi potrebbero destarsi le coscienze degli avventori inebriati, convincendosi che il circolo dei signori sia stato rifondato per mano di quelli come Eco, facendo loro rimpiangere l’aborrito bar dello sport.

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