La sfida digitale “the big deal” del semestre Ue

Sulla nuova legislatura incombono importanti responsabilità politiche. Il governo italiano può imprimere una forte accelerata alla realizzazione del Single Market. Ma non sarà una passeggiata. Sul tavolo: assegnazione delle frequenze, accesso alle reti Ngn e roaming zero. Privacy e copyright fra le questioni più scottanti

Pubblicato il 07 Lug 2014

Il programma di lavoro del semestre di presidenza italiana del Consiglio Ue ne è solo la testimonianza più recente. Le quotazioni del digitale sono ormai in vertiginosa ascesa nel borsino dei circoli di potere europei. Il merito va anche all’indefessa crociata politica portata avanti da Neelie Kroes lungo tutto il corso del suo mandato.

La responsabile Ue per l’Agenda digitale, combinando una diffusa esposizione mediatica e dinamismo diplomatico da vendere, ha contribuito in maniera significativa a instillare nei decisori politici, così come nell’opinione pubblica una consapevolezza basilare. Al punto da vederla infine riconosciuta nelle conclusioni del Consiglio di ottobre 2013: “Un’economia digitale solida è fondamentale per la crescita e la competitività europea in un mondo globalizzato”. Sulla nuova legislatura comunitaria incombono in tal senso importanti responsabilità politiche. Il settore digitale europeo è infatti in stato di sofferenza. Il divario con i principali concorrenti globali, Usa in testa, non cessa di allargarsi. Come certifica un recente rapporto di At Kearney nel ranking delle prime 100 aziende Ict del mondo sono appena 9 quelle europee. Meno del 10% dei ricavi globali del settore proviene da società con sede nel Vecchio Continente. Al cospetto dello strapotere dei colossi della Silicon Valley, le web company europee di levatura internazionale si contano sulle dita di una mano. Nel comparto delle Tlc, in particolare, si è assistito ad un rovescio di fortune spettacolare. “Un decennio fa – rimarca una nota di Strand Consult – l’Europa contribuiva per un terzo degli investimenti di capitale globali nelle tlc. Quella cifra si è oggi ridotta a meno di un quinto”.

Non è dunque una sorpresa se le grandi telco del continente lamentano ricavi in costante declino, con una contrazione del 3,8% nel solo 2013- del 12% rispetto al 2008 -, secondo stime di Etno. Il contraccolpo sul roll-out delle reti di nuova generazione è drammatico, e più d’ogni altro indicatore misura il ritardo nei confronti di Usa, Giappone o Corea del Sud. Nel Vecchio Continente pioniere della tecnologia Gsm, solo il 2% delle connessioni mobili viaggia in 4G, contro il 20% degli Usa. I target sull’Internet ultraveloce definiti nell’Agenda digitale per l’Europa, ad esempio la copertura con banda larga pari o superiore a 30 Mbps per il 100% dei cittadini entro i 2020, appaiono ancora molto distanti.

Secondo una diagnosi largamente condivisa, le malinconie dell’universo digitale europeo sono ascrivibili in larga parte al dedalo di “steccati” tanto regolamentari quanto geografici che lo attraversano. Ed è proprio da questa premessa che dovranno muovere i leader europei nel disegnare la traiettoria politica per i prossimi cinque anni. La realizzazione di un mercato unico del digitale, e in special modo delleTlc, ha già assorbito tutto l’ultimo tratto dell’attività legislativa di Neelie Kroes. Anche se con fortune alterne.

Il pacchetto Connected Continent, che la presidenza italiana si è impegnata a traghettare verso una spedita approvazione, spinge sull’armonizzazione delle regole europee in materia di tutela dei consumatori, assegnazione delle frequenze e accesso all’ingrosso, senza contare la soppressione delle tariffe di roaming. L’Europarlamento ha però eliminato dalla proposta originaria una buona dose di misure chiave: ad esempio l’introduzione di singola licenza paneuropea per gli operator o il rafforzamento dei poteri di veto di Bruxelles sui rimedi nazionali. Gli stati membri, per loro parte, appaiono intenzionati a gettare dalla torre i principali profili del piano sul radiospettro.

L’orizzonte più vicino per riprendere in mano questi nodi irrisolti, proseguendo sul sentiero tracciato della Kroes, sarà la revisione del quadro regolamentare europeo per le Tlc, entro il 2016. La nuova Commissione dovrà all’occasione lavorare ad una proposta più consensuale. All’interno della quale, per forza di cose, sarà imperativo trovare un equilibrio tra l’esigenza di affidarsi a regole più flessibili, così da stimolare l’appetito degli investitori, e il dovere di salvaguardare un livello elevato di concorrenza. Proprio su quest’ultimo aspetto a Bruxelles si giocherà un’altra partita fondamentale, quella sul consolidamento del settore delle tlc, che ormai vede sempre più ai ferri corti i fautori di una linea meno severa nei confronti dei futuri M&A e quanti paventano pesanti ricadute sul contesto competitivo europeo. A cominciare dalle Authority per la concorrenza.

Due temi altrettanto scottanti su cui Stati membri e Parlamento Ue saranno chiamati a confrontarsi, e a superare ampie divergenze, sono la privacy e il copyright. Nel primo caso, occorrerà accelerare i negoziati in Consiglio Ue sul pacchetto di riforma della data protection presentato dalla Commissione Ue a gennaio 2012 e oggetto di infinite controversie. Il lavoro legislativo sul diritto d’autore è invece tutto da costruire dopo le iniziative abortite dell’ultimo decennio, ma il traguardo di una regolamentazione europea uniforme è centrale per dare impulso al settore dei servizi digitali. Al contempo, un cantiere sensibile per l’Italia è quello della tassazione dell’economia digitale, su cui sino ad oggi sono stati spesi molti proclami ma ben poche iniziative, fatta eccezione per un comitato di saggi istituito dal Commissario alla fiscalità Algirdas Semeta. E ancora, la lotta al divario digitale interno all’Europa, in particolar modo in termini di infrastrutture, dipenderà anche da un impiego efficace dei fondi comunitari, e dalla possibilità di sbloccare nuove risorse pubbliche, ad esempio attraverso la Banca Europea per gli Investimenti.

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