L'ANALISI

Lavoro, Fuggetta: “Dell’Ict non si può fare a meno”

Il ceo del Cefriel: “L’Italia sta perdendo i migliori talenti che all’estero sono adeguatamente valorizzati. Solo innovando si crea sviluppo e si mette in moto la crescita”

Pubblicato il 23 Gen 2012

Mila Fiordalisi

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"La situazione italiana? È paradossale". Il professor Alfonso Fuggetta, ceo del Cefriel-Politecnico di Milano, punta il dito contro un “sistema” che si è aggrovigliato su se stesso e che la difficile situazione macro-economica inevitabilmente esaspera pur non rappresentando la causa d’origine del problema. “Il mercato del lavoro italiano è legato sì alla congiuntura macro-economica di cui gli effetti sono sotto gli occhi di tutti. Ma il vero problema dell’Italia è che non si è dato il giusto valore all’IT e che ancora non ci si rende conto di quanto l’IT sia pervasivo e trasversale. Dell’IT non si può più fare a meno. Dall’automotive agli elettrodomestici, dalla produzione industriale al fashion: l’IT rappresenta una componente chiave oramai dappertutto”.
Perché si è impantanata la macchina?
Sono due i fenomeni drammatici a cui abbiamo assistito da una decina d’anni a questa parte. Da un lato non si è capito che l’IT fa rima con innovazione e che dunque gioca un ruolo decisivo per lo sviluppo. Dall’altro l’IT per certi versi è considerato una commodity, ma nel seno più negativo del termine, vale da dire che si pensa all’IT come a qualcosa che deve essere disponibile a basso costo. Di qui la continua corsa al ribasso delle tariffe, in particolare da parte della Pubblica amministrazione.
Si riferisce alla questione delle gare al ribasso?
Sì. Ed è una questione fondamentale, anche se non l’unica. La PA per prima non dà il giusto valore all’IT e continua a spingere verso il ribasso tariffario. E questo è un approccio sbagliato che influenza tutto il mercato. Tanto per fare qualche esempio, tariffe pari a 100-120 euro al giorno rappresentano un quinto di quelle applicate in Germania, un paese che invece considera l’IT una leva fondamentale e che riconosce ai professionisti tariffe adeguate al loro ruolo strategico. Molti dei nostri migliori talenti si trasferiscono all’estero: e non c’è bisogno di andare lontano per avere delle ottime chance. I principali Paesi europei e non solo valorizzano le risorse IT attraverso retribuzioni adeguate e investono in questa tipologia di figure. E addirittura alcune tipologie di figure sono considerate molto preziose: secondo un’indagine di Cnn Money la professione attualmente più richiesta negli Usa è quella del software developer, per lo sviluppo di app e programmi legati ai device mobili, e lo stipendio medio è valutato in 82.400 dollari e si arriva fino a 118mila dollari.
Ma in Italia ci sono professionisti di questo tipo?
Certo che ce ne sono. E in abbondanza. I percorsi formativi universitari sono orientati nella giusta direzione e dunque c’è la possibilità di presentarsi al mercato con tutte le carte in regola. Il problema è che i nostri giovani professionisti in Italia non trovano lavoro, anche a causa di una scarsa cultura dell’innovazione, tipica del nostro Paese, e quindi spesso preferiscono, ma sono anche costretti, a trasferirsi all’estero dove invece la domanda è molto più alta e dove soprattutto l’offerta in termini di retribuzioni è adeguata al valore professionale. Vorrei aggiungere fra l’altro che la situazione sta rapidamente cambiando anche nei Paesi in cui il basso costo della manodopera – ad esempio India e Cina – ha spinto molte aziende a “sfruttare” le competenze. Ebbene, le tariffe si stanno oramai adeguando a quelle occidentali e paradossalmente l’Italia rischia di diventare un Paese nearshoring, un Paese a basso costo di manodopera, un Paese da “spremere”. Ciò può rappresentare in parte un vantaggio poiché si potrebbe assistere a una maggiore richiesta di nostri professionisti, ma la faccia negativa della medaglia è che i nostri giovani non sarebbero motivati e che la macchina dell’innovazione vera in questo modo non troverebbe la giusta spinta in direzione della crescita-Paese.
La situazione, così come la descrive, appare drammatica.
Se non si cambierà approccio non si potrà recuperare il gap, anzi il gap si allargherà ulteriormente e assisteremo a una progressiva fuga di cervelli e ad uno skill shortage davvero preoccupante. Fra l’altro l’IT potrebbe essere la chiave per riqualificare alcune figure professionali oramai non più in linea con le esigenze del mercato, offrendo nuove opportunità lavorative.
Crede che il governo Monti potrebbe sbloccare la situazione?
Dipenderà tutto dal compito assegnato a questo governo. Se tutto ruota intorno al riequilibro dei conti e allora la questione finirà sul tavolo dei futuri governanti. Ma se questo governo è stato chiamato a dare anche una risposta al tema della crescita e dello sviluppo ci auguriamo che la questione dell’Agenda digitale e dell’innovazione diventi prioritaria per il governo e per il Parlamento. Il tema è certamente politico, ma bisogna smetterla di considerare l’Ict un lusso ossia un investimento “secondario”.

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